2014-11-02 08:40:00

Migranti: nuovi sbarchi in Italia, mentre debutta Triton


A un giorno dal debutto di Triton, l'operazione dell’Unione europea per il controllo della frontiera a sud dell'Europa, continuano gli sbarchi di migranti in Italia, soprattutto attraverso il Canale di Sicilia. Nelle ultime ore ad Augusta sono arrivati 151 migranti e a Pozzallo altri 59, nello stesso porto dove venerdì erano state condotte 273 persone, soccorse nell'ambito del dispositivo Mare Nostrum, in via di smantellamento. Purtroppo, però, spesso i migranti per l'Italia sono veri e propri “fantasmi”. Così li definisce Michele Sasso, giornalista de ‘l'Espresso’, che per il suo reportage sui respingimenti di chi arriva “via Adriatico”, ha vinto il premio “Giornalisti del Mediterraneo”, nella sezione “Primavera Araba”. Massimiliano Menichetti lo ha intervistato:

R. – I fantasmi dell’Adriatico sono le persone che vengono respinte nei porti italiani dell’Adriatico: Ancona, Bari, Venezia, Brindisi. Ogni giorno, ogni mese arrivano migliaia di persone che hanno bisogno di diritto, di protezione internazionale e sommariamente vengono rispediti indietro: vengono rispediti verso quei porti della Grecia dove invece quei diritti non sono rispettati, dove vivono nelle bidonville, dove vengono sottoposti a torture, botte quotidiane. Ecco, questi fantasmi sono quelle persone che non vengono registrate da nessuna parte e cercano di nascondersi nei container. Purtroppo qualcuno muore. E l’Italia li rispedisce indietro.

D. – Tu hai raccontato una storia particolare…

R. – Io ho raccontato una storia particolare, sono riuscito a trovare un filo rosso per il mio reportage che è la storia di Reza, un ragazzo afghano di 17 anni che è partito dal suo Paese a piedi attraverso peripezie, attraverso l’Iran: è arrivato fino alla Turchia e da lì un’altra volta ha passato il confine ed è arrivato fino in Grecia. Poi per tre volte ha cercato di arrivare in Italia, il suo sogno, per poi proseguire verso nord e per tre volte è stato respinto. Lui aveva subito violenze, torture, la sua famiglia è stata sterminata dai talebani, quindi aveva tutti i diritti per essere accolto come un profugo, e per tre volte glieli hanno negato. Anche lui ha preso la sua vita in mano e se l’è fatta a piedi, dalla Grecia è arrivato fino in Friuli e ora i suoi diritti finalmente sono stati riconosciuti, ma sono passati anni.

D. – Che cosa ha significato per te cominciare a lavorare su questa storia?

R. – Andare nei porti, capire questa differenza, questa distanza, come vengono trattati in questa zona grigia. Ad Ancona, le associazioni locali mi hanno raccontato, mi hanno fatto vedere tutto quello che succede nei porti nei vari scali marittimi dove c’è una terra di nessuno, dove queste persone arrivano e si ritrovano dopo migliaia di chilometri in Italia ma completamente spaesati. Per me ha significato approfondire un altro tassello di questo mosaico dell’immigrazione, questo fenomeno importante, sfaccettato, multipersonale che l’Italia sta avendo da 15 anni a questa parte e c’è ancora tanto da capire, tanto da approfondire perché in un fenomeno così vario e complesso non ci si può limitare a dire che è semplicemente un’invasione.

D. – Nello stesso tempo questo ragazzo vi ha affidato la sua storia, una grande consegna, in un certo qual modo è come se ti avesse dato la sua vita da raccontare. E nella sua vita ci sono le vite di tanti altri che vivono questa realtà…

R. – Adesso vive come rifugiato politico a Parma, ha superato questa barriera, ha sfondato questo confine anche dell’indifferenza, c’è un ricorso pendente all’Unione Europea per il trattamento che ha subito lui e che subiscono tante altre persone, tante famiglie, profughi che avrebbero tutto il diritto di chiedere la protezione internazionale ma purtroppo gli viene sbattuta la porta in faccia. La sua storia è una storia molto bella da raccontare, molto appassionante, ma anche molto pesante. Quando sono stato a casa sua, mi ha fatto vedere anche i segni delle torture che ha subito in Afghanistan: per tante ore mi ha raccontato tutti i particolari della sua vita, come è riuscito a raggranellare qualche soldo in Iran, le umiliazioni, le sevizie che ha subito per arrivare in Italia, poi nel ‘sogno Europa’, che nel suo caso più che un sogno era una fortezza da espugnare. Quando è iniziato questo viaggio aveva 17 anni. Alla fine riesce ad arrivare in Italia a 21 anni: 4 anni del suo grande sacrificio ma anche della sua testardaggine, del suo sogno che non voleva fermarsi a un confine così labile, quando gli mancava un braccio di mare, era praticamente arrivato dall’Asia al porto di Patrasso e gli mancava giusto il tratto finale, l’ultimo miglio per arrivare in Italia: era già in Europa, ma in un’Europa che non riconosce ancora i suoi diritti.








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