2014-10-27 14:15:00

Is minaccia jihadisti britannici che vogliono rimpatriare


Il sedicente Stato Islamico (Is) minaccia di morte i jihadisti britannici che, dopo aver combattuto in Siria e in Iraq, ora intendono tornare nel Regno Unito. Lo ha rivelato The Observer, la versione domenicale di The Guardian. Secondo fonti con contatti in Medio Oriente, alcuni cittadini britannici già schierati al fianco dei terroristi si sono detti “pentiti” o “spaventati” della lotta con i combattenti islamici. Al momento, fra Siria e Iraq, ci sarebbero più di trenta britannici pronti a rimpatriare: si tratta, peraltro, di persone considerate come potenziali terroristi dalle autorità di Londra. Giada Aquilino ne ha parlato con Francesca Paci, inviata del quotidiano ‘La Stampa’:

R. – In realtà, questa notizia che è stata data ai Servizi d’intelligence e alla stampa della Gran Bretagna da Moazzam Begg – che è un ex detenuto di Guantanamo, adesso libero in Gran Bretagna e residente a Birmingham, offertosi anche in passato di negoziare con i jihadisti dell’Is in Siria – aggiunge un tassello del puzzle, che già un poco si era delineato nelle settimane precedenti. Quello che dice Begg è che dei circa 500 jihadisti britannici che sarebbero in Siria, 30-35, per quello che gli risulta, si sarebbero resi conto che la Siria non era quel paradiso per cui volevano andare a combattere e quindi vorrebbero tornare indietro, ma ciò sarebbe impedito loro. In realtà, questo va a confermare le voci che ho sentito anch’io, nel viaggio che sto facendo per 'La Stampa' in Belgio, in Gran Bretagna e anche in Francia. Nelle comunità islamiche, da cui partono giovani uomini e giovani donne, sono soprattutto le donne che vanno lì e si rendono conto che non è ciò che sognavano. Questa storia della Gran Bretagna, quindi, mi fa pensare, per esempio, che dieci giorni fa, quando ero a Marsiglia, ho parlato con l’avvocato di una famiglia di origine algerina, la cui figlia è partita giovanissima, a meno di 20 anni, come sempre avviene in questi casi. Suo fratello poi l’ha rintracciata e raggiunta: lei gli ha detto di aver fatto un errore enorme, il peggiore della sua vita, però non è riuscito a riportarla a casa: non l’hanno fatta ripartire, quindi.

D. – Quali sono i motivi che spingono queste persone dapprima a lasciare casa, famiglia, forse un lavoro e ad andare ad ingrossare le file dell’Is e poi invece a voler tornare indietro?

R. – La motivazione che le fa partire, da quello che si capisce dagli interrogatori o anche parlando con le famiglie, è una motivazione basata su futili motivi, molto "naif": semplicemente una scarsissima conoscenza del Corano e anche dell’Islam e quindi l’idea che lì l’applicazione totale della "sharìa" consenta di assicurarsi, ad esempio, la vita eterna. Poi, una certa marginalità rispetto alla società. Non necessariamente si tratta di disoccupati: talvolta si tratta di persone che hanno un lavoro, però con una grande frustrazione. Quando questi sono i motivi - più di quelli sanguinari di altri, che poi magari hanno anche intenzione di tornare e portare la jihad in Occidente - vanno lì e si rendono conto che il gioco non vale la partita, che lì è guerra vera.

D. – Ma dopo un primo momento in cui a livello di propaganda l’Is ha avuto un certo richiamo in vari ambienti, ora qualcosa sta cambiando?

R. – Dai dati dell’intelligence si riesce a capire chi parte. I dati parlano di 3-4 mila persone partite dall’Europa. E’ molto complicato capirlo, perché bisogna vedere come sono le frontiere: la Turchia per esempio ha stretto i controlli. Può anche darsi, quindi, che non è che siano scoraggiati a partire, ma che abbiano meno possibilità di entrare rispetto a qualche mese fa.








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