2014-10-27 16:28:00

Ergastolo, Eusebi (Univ. Cattolica): ha ragione il Papa, è inaccettabile


"La risposta al reato non può essere un corrispettivo che ne rifletta i contenuti  negativi, ma deve essere un progetto per fare giustizia e non vendetta". Così, Luciano Eusebi, ordinario di diritto penale all'Università cattolica di Milano e alla Pont. Università Lateranense, riassume il senso del discorso rivolto da Papa Francesco all'Associazione Internazionale di diritto penale, il 23 ottobre scorso. Nel testo il vescovo di Roma metteva, tra l'altro in guardia, dal 'populismo penale', cioè dalla convinzione che "attraverso la pena pubblica si possano risolvere i più disparati problemi sociali". 

"La funzione della pena deve essere quella di trasformare dei rapporti feriti in rapporti giusti", spiega Eusebi. "Anche dal punto di vista cristiano 'fare giustizia', secondo la concezione biblica, significa fare verità sul male ma per la salvezza dell'interlocutore. La giustizia salvifica biblica, per i cristiani, ha la piena realizzazione in Gesù. E Gesù non è Salvatore perché la sua sofferenza compensa il peccato di Adamo, ma perché la sua giustizia, intesa come disponibilità a un progetto di amore dinanzi al male, si rivela in Dio salvifica tramite la Resurrezione".

 

"E' importante valorizzare questo concetto di giustizia anche in ambito umano soprattutto per realizzare una prevenzione realistica del crimine", spiega il prof. Eusebi, autore del libro “La Chiesa e il problema della pena” (Editrice La Scuola). "La prevenzione non dipende dalla minaccia del male: i paesi che applicano la pena di morte hanno un livello di violenza interna superiore agli altri, perché veicolano un modello di rapporto umano basato sulla violenza". "La prevenzione - spiega Eusebi - dipende dal coraggio di riconoscersi corresponsabili dei fattori che favoriscono la criminalità. Dal contrasto degli interessi materiali che stanno dietro ai reati. Dalla capacità di ottenere elevati livelli di consenso al rispetto delle norme, anche attraverso percorsi seri di rielaborazione e revisione di vita, da parte del reo, disponibilità alla riparazione e assunzione di responsabilità". 

"Solo una società che sia capace di cogliere i suoi livelli di corresponsabilità nei crimini, invece di costruire 'capri espiatori' o 'nemici' su cui concentrare tutte le caratteristiche minacciose, può contrastare la criminalità, evitando la disfunzione di un diritto penale che prende solo i pesci piccoli e non sa opporsi ai grandi interessi criminali". "Per questo sono necessarie, come spiega il Papa, nuove forme di risposta al reato, le famose pene alternative, che ridiano al carcere il ruolo di 'extrema ratio'", aggiunge Eusebi. "Non è una rinuncia alla prevenzione ma un modo di farla meglio". "In questo ambito - conclude il docente di diritto penale - s'inserisce l'affermazione del Papa che 'l'ergastolo è una pena di morte mascherata'. Se si toglie la speranza non si stimola alcuna rielaborazione del reato da parte di chi l'ha commesso. Come ha affermato la Corte europea dei diritti dell'uomo l'ergastolo non può essere il paradigma di una pena che cerca la prevenzione rispettando la dignità della persona. Il compito del diritto penale è infatti costruire sulle fratture, anche le più gravi, e non delineare una serie di ritorsioni".  








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