2014-10-26 14:15:00

Presidenziali in Brasile: partita aperta tra Rousseff e Aécio Neves


Domenica di voto in Brasile, dove oltre 140 milioni di elettori sono chiamati a scegliere il presidente che, sino al 2018, governerà il Paese. I due sfidanti in questo ballottaggio sono la presidente uscente, Dilma Rousseff, del Partito dei lavoratori di centro-sinistra e Aécio Neves del Partito socialdemocratico di centro-destra (Psdb). Gli ultimi sondaggi danno in leggero vantaggio Rousseff ma la sfida resta aperta e sull’esito peseranno anche lo scandalo corruzione che ha investito la Petrobas, maggiore industria petrolifera del Paese.  Per sapere come il Brasile arriva a questo appuntamento elettorale Marco Guerra ha intervistato, Paolo Magri, direttore dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (Ispi):

R. – Arriva con due candidati dei Partiti che hanno retto il Paese negli ultimi 20 anni: sono un candidato del partito dei lavoratori al governo, Dilma Rousseff, ed un candidato del partito di centrodestra, il Psdb, che aveva espresso anni fa il presidente Cardoso. Due partiti che hanno accompagnato la crescita e l’avanzamento economico e politico – in termini di prestigio – del Paese in questi anni, e che hanno agende diverse e che per questo rappresentano un’alternativa forte per elettori che potranno scegliere, quindi, tra due visioni diverse del Brasile del futuro. Chiunque vinca - e ad oggi non lo sappiamo, visto che i sondaggi danno in parità tecnica i due candidati -  raccoglierà un’eredità pesante: un Paese più polarizzato, più diviso che in passato, tra il 50 per cento che pensa ad una ricetta di sinistra e un 50 per cento che pensa ad un modello più tradizionale e liberale; un Paese più polarizzato e comunque con governi – chiunque vinca – più deboli di prima: saranno governi di coalizione, composti da tanti partiti, e fare le riforme necessarie per riprendere la crescita non sarà facile.

D. – Quali sono stati i temi al centro della campagna elettorale? Secondo molti analisti, l’agenda è stata dettata anche da questa nuova classe media emergente …

R. – La lotta alla povertà è stata il tema centrale degli ultimi 12 anni di governi, con risultati positivi che sono stati valutati anche dalle Organizzazioni internazionali come molto positivi. Parliamo di decine di milioni di persone uscite dalla povertà, di una riduzione del 90 per cento della denutrizione, del miglioramento degli indici scolastici. Questo è il nuovo Brasile che si presenta al voto. In questo nuovo Brasile c’è un ceto medio che prima non c’era, che adesso è la maggioranza della popolazione; un ceto medio che ha visto il reddito crescere e quindi ha una situazione economica migliore; ma non ha visto la condizione sociale migliorare molto: infatti, scuole, trasporti e sanità funzionano ancora a livello di terzo mondo. Questo ha originato le proteste durante i mondiali, e questo tema è stato centrale nella campagna. Entrambi i partiti propongono miglioramenti in questi tre settori – educazione, sanità e trasporti – e la domanda è: con quali soldi? visto che l’economia in questi ultimi due anni ha rallentato in modo significativo.

D. – C’è stata una frenata? E’ ancora uno dei motori dell’economia mondiale, il Brasile?

R. – Il Brasile, da decenni ha tutte le carte in regola per essere uno dei motori dell’economia mondiale: ha una popolazione giovane, ha risorse naturali, è un Paese enorme con grandissime potenzialità. Negli anni tra il 2000 e il 2010 ha avuto passi di crescita del 4 per cento all’anno, soprattutto perché ha cavalcato l’onda della grande domanda di materie prime dell’economia mondiale, soprattutto della Cina. Negli ultimi anni, questa domanda di materie prime è rallentata e in secondo luogo sono emerse politiche protezionistiche e poco amichevoli nei confronti del business, che hanno rallentato investimenti e l’attività produttiva. Quello che è certo è che non può continuare con i tassi di crescita asfittici degli ultimi mesi e dell’ultimo anno: siamo allo 0,9% – 1% circa, e non è sufficiente per un Paese delle dimensioni del Brasile.

D. – L’esito del voto in Brasile potrebbe spostare anche gli equilibri sullo scacchiere sudamericano …

R. – La politica del governo uscente, soprattutto con Lula, è stata una politica anzitutto di forte cooperazione sud-sud, antagonista alla presenza americana in America Latina e anche con forti legami con l’Africa; una politica che chiaramente era vicina a quella di alcuni governi di sinistra dell’America Latina e anche di stampo populista, del Venezuela e dell’Argentina. Ma quello che è importante sottolineare è che comunque il Brasile, tra l’iberismo del pacifico e il populismo di altri Paesi, ha anche giocato un ruolo di mediazione: era un po’ la terza via, attento ai bisogni dei poveri ma anche attento al mercato. Se vincesse il partito di centrodestra, avremmo un nuovo Paese in America Latina – oltre al Cile, oltre al Perù, oltre al Messico – che guarda a ricette ortodosse liberiste con maggiore priorità.








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