2014-10-16 12:45:00

Somalia, mons. Bertin: agisce 'internazionale' fondamentalista


Almeno cinque persone sono rimaste uccise in Somalia per l’esplosione di un’autobomba, nelle ultime ore a Mogadiscio. Soltanto domenica scorsa, un altro attentato aveva provocato tredici vittime. Le azioni non sono state rivendicate, ma i miliziani islamici Shabaab negli ultimi tempi hanno moltiplicato i loro attacchi, nonostante l’esercito somalo e i militari dell’Unione africana schierati nel Paese abbiano da poco riconquistato il porto strategico di Barawe, fino al mese scorso controllato dagli estremisti per i loro traffici. Ne parla mons. Giorgio Bertin, già amministratore apostolico di Mogadiscio, intervistato da Giada Aquilino:

R. - Gli Shabaab, o forse anche altri gruppi che si nascondono dietro di essi, non hanno interesse che rinasca, che riparta uno Stato di diritto in Somalia.

D. - Perché di fatto, dopo la caduta di Siad Barre nel ’91, il Paese non è riuscito a creare strutture statali solide?

R. - Gruppi, personaggi e altro si sono impossessati di certi interessi per cui hanno sempre combattuto, di fatto, contro la rinascita di strutture statali.

D. - Si parla di corruzione dilagante, di traffici illeciti di droga e non solo, anche di esseri umani…

R. - Certamente, si può parlare soprattutto nel centro-sud di corruzione e di traffici. Penso che dall’estero sia soprattutto quella che potremmo definire una “internazionale” di un certo fondamentalismo islamico - che si tratti di Al Qaeda o di altri gruppi - ad avere un certo interesse in Somalia. Naturalmente, poi, ci sono anche alcuni commercianti che stanno approfittando della situazione. In questo modo, però, continuano a tenere in ostaggio il proprio popolo.

D. - Più volte, negli ultimi tempi, si è parlato di possibili collegamenti tra sedicente Stato Islamico e Al Shabaab in Somalia, ma anche Boko Haram in Nigeria: che rischi ci sono?

R. - Certamente, anche questo è possibile. In una situazione del genere tutto è possibile, pure se bisogna ammettere che ultimamente le forze del rinascente governo, con l’appoggio di quelle africane, sono riuscite a liberare molte città dalla presenza degli Shabaab.

D. - A tal proposito, l’esercito somalo e i militari dell’Unione Africana hanno recentemente riconquistato il porto di Barawe. Ma a cosa deve mirare ancora la politica contro gli estremisti?

R. - Non basta liberare alcune zone con la forza militare. Bisogna consolidare la liberazione con programmi di sviluppo economico, programmi di urgenza perché bisogna ricordarsi che attualmente almeno 800 mila persone in Somalia soffrono la fame. Oggi, è la Giornata mondiale dell’alimentazione e non bisogna dimenticare questo aspetto. Allora, accompagnando lo sforzo militare con uno di tipo economico, di sicurezza, di servizi, le nuove autorità potranno avere l’appoggio della popolazione, senza il quale sarà impossibile imporsi sugli elementi contrari alla rinascita dello Stato.

D. - Lei che per 25 anni è stato accanto alla popolazione somala ha potuto capire quanta fiducia c’è nel futuro?

R. - La fiducia per il momento è poca. Ma, appunto, per raccogliere fiducia è davvero necessario impegnarsi seriamente nella ricostruzione del Paese, per la popolazione. Questa è un po’ la mia speranza.








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