2014-10-13 15:34:00

Da Paesi donatori 5,4 miliardi di dollari in aiuto a Gaza


5,4 miliardi di dollari per ricostruire di Gaza, dopo gli ultimi sanguinosi scontri con Israele nell’estate scorsa. E’ risultato della Conferenza dei donatori, riunita ieri al Cairo, presenti 50 tra ministri degli Esteri e rappresentanti di organizzazioni internazionali, assente lo Stato ebraico. Ad invocare una pace possibile tra i due popoli è stato il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon, giunto stamane a Ramallah in Cisgiordania, per incontrare il premier palestinese Hamdallah, e recarsi poi a Gerusalemme per colloqui nel pomeriggio con il premier e il presidente israeliano, Netanyahu e Rivlin. Il servizio di Roberta Gisotti:

“Sono molto preoccupato per le provocazioni che si ripetono nei luoghi santi di Gerusalemme. Devono cessare”, ha detto Ban Ki moon, condannando ancora una volta la colonizzazione israeliana, chiedendo poi di fermare una “sofferenza senza senso e risolvere la radice del problema”. “Dobbiamo agire subito per cambiare uno statu quo che non è più sostenibile”, fiducioso – si è detto il segretario generale dell’Onu - che “il governo di unità palestinese rafforzerà i rapporti tra gli abitanti di Gaza e della Cisgiordania”. 

E, una pioggia di dollari è in arrivo per Gaza, che aiuterà di certo la popolazione palestinese stremata dalla guerra ma possiamo essere anche sicuri che non aiuterà il riarmo di Hamas o di altri gruppi fondamentalisti come i miliziani dell’Is? Janiki Cingoli, direttore del Centro italiano per la pace in Medio Oriente (Cipmo):

R. – Certezze in Medio Oriente ce ne sono sempre molto poche. Tuttavia, questa Conferenza è stata preceduta da due accordi. Il primo tra Israele, Autorità nazionale palestinese ed Onu per sovrintendere all’importazione dei materiali e quindi per essere ragionevolmente sicuri che i materiali non vengano utilizzati per rifare i tunnel, o per costruire razzi. Il secondo è quello tra Autorità nazionale palestinese ed Hamas, con la mediazione egiziana, in cui Hamas ha accettato che a sovrintendere all’opera di costruzione ci fosse appunto l’Anp, e che questa fosse presente ai valichi di frontiera: cosa essenziale sia per gli egiziani, sia per gli israeliani per permettere di riaprire i valichi.

D. – Da Abu Mazen - il presidente della Anp - abbiamo sentito al Cairo un appello ad Israele per la fine dell’occupazione della Palestina, e così anche il presidente egiziano al-Sisi ha chiesto allo Stato ebraico di porre fine al conflitto con il popolo palestinese. Sembra che nessuno abbia ricordato che la reazione inaccettabile di Israele contro la popolazione palestinese è stata comunque in risposta agli attacchi continui di Hamas al suo territorio…

R. – In realtà, c’è anche qui un elemento contraddittorio, perché Israele aveva detto che, mai e poi mai, avrebbe avuto a che fare con questo governo di unità nazionale palestinese - chiamato governo di “terroristi” – ma di fatto, adesso, accetta che sia quel governo a sovrintendere ai confini, ai check-point e ad organizzare gli aiuti. E, c’è anche che gli israeliani non hanno voluto smantellare il governo di Hamas – cosa che avrebbero potuto fare a Gaza - perché temono che se andasse via Hamas – se venisse ‘sbaraccata’ – rientrerebbe l’Is. C’è già stato infatti un primo attentato firmato Is ad un centro culturale francese, a Gaza. Quindi, sostanzialmente, ad Israele va bene il fatto che ci sia un Hamas indebolita a Gaza; che ci sia un ritorno dell’Autorità nazionale palestinese – e quindi, un rafforzamento di questa - a Gaza; e che ci sia contestualmente un indebolimento in Cisgiordania, perché le incursioni nelle zone controllate dall’Autorità palestinese, per smantellare la rete di Hamas, continuano.

D. – Possiamo dire che, più che un avvicinamento alla pace e alla possibilità di avere due Stati che coesistano, ci stiamo avvicinando ad un’assenza stabile di guerra…

R. – Ci stiamo avvicinando a un ‘management del conflitto’, in cui ognuna delle due parti fa la voce grossa - ci sono scambi di insulti – però poi contestualmente, ad un diverso livello, si discute, si negozia la gestione e il contenimento del conflitto. Israele sicuramente paga questo con un isolamento crescente, testimoniato dal fatto che ha dovuto accettare l’invito degli egiziani a non essere presente alla Conferenza dei donatori, perché altrimenti non ci sarebbero andati i sauditi, gli emirati e così via. Quindi, c’è una situazione sostanzialmente di status quo che non è totalmente immobile, che può esplodere anche in nuovi conflitti e che certamente dovrebbe poi preoccupare soprattutto gli stessi israeliani.








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