2014-10-12 10:15:00

Elezioni in Bosnia ed Erzegovina. Mons. Sudar: un Paese diviso


Si sono aperte questa mattina alle sette ora locale le urne per le elezioni generali in Bosnia ed Erzegovina, dove la popolazione è chiamata alle urne per rinnovare tutti gli organi di potere centrali e regionali. Poche le aspettative degli elettori in un Paese che attraversa una grave crisi economica e su cui gravano ancora profonde divisioni etniche e politiche. A rilento anche il difficile processo d’integrazione nell’Unione Europea. Il servizio di Marco Guerra:

3,2 milioni di elettori dovranno eleggere i tre componenti della presidenza tripartita – un musulmano, un serbo e un croato – i deputati al parlamento centrale e quelli delle due entità che costituiscono il Paese, la Repubblica Srpska, a maggioranza serba, e la Federazione della Bosnia ed Erzegovina, a maggioranza croato-musulmana. In quest’ultima, si vota anche per i consigli dei cantoni. Le elezioni si svolgono in un clima privo di aspettative e in una situazione socioeconomica sempre più depressa, anche a causa di uno stallo istituzionale dovuto proprio alla complessità del sistema politico, che alimenta la disaffezione dei cittadini. Unico elemento di novità è la lotta interna alla Republika Srpska, dove il dominio di Milorad Dodik – ininterrottamente al potere dal 2002 prima come premier e poi come presidente dell’entità – potrebbe avviarsi alla conclusione. Si pronostica infatti un testa a testa per la poltrona serba della presidenza statale, tra il candidato del partito socialdemocratico di Dodik, Željka Cvijanović, oggi primo ministro della Srpska, e l’esponente dell’opposizione unita, Mladen Ivanić, un politico esperto e di lungo corso. Sulla situazione, l'opinione dell’arcivescovo ausiliare di Sarajevo, mons. Pero Sudar:

R. – Con i problemi non risolti ma fondamentali, che si protraggono già da dopo la guerra, la Bosnia ed Erzegovina purtroppo – e questo si è verificato in tutte le elezioni che si sono tenute finora – non trova ancora uno sbocco, un modo di indirizzarsi su una strada che la porti ad una prosperità. Purtroppo, il Paese è molto diviso politicamente, ma anche territorialmente, è un Paese pieno di contraddizioni. Tutto questo si riflette anche su questa campagna elettorale. C’è una "acidità" di fondo, che mi sembra sempre più contaminare la nostra gente, che non vede la prosperità, che non vede futuro. Questo è il peso più grande che si sente ovunque ci si muova.

D. – Come guarda all’Europa il Paese? C’è un processo d’integrazione? C’è speranza nel guardare all’Europa?

R. – Sì. Direi che c’è il desiderio, ma c’è anche una certa rassegnazione perché in questi quasi 20 anni, dopo la fine della guerra, non si è fatto molto, non si è ancora aperto il processo di integrazione. Siamo, fra tutti i Paesi che aspirano all’ingresso nella Comunità europea, all’ultimo posto, nonostante ci sia un grande desiderio e un grande bisogno di far parte della Comunità europea. Purtroppo, il nostro bagaglio politico, i risentimenti della guerra e le ingiustizie compiute ci rendono prigionieri. Neppure l’Europa trova iniziative che potrebbero suscitare un effetto visibile e tangibile. Quindi, da una parte c’è il desiderio e dall’altra c’è la rassegnazione, perché non si vede alcun successo in questo senso.

D. – Il mosaico interetnico della Bosnia ed Erzegovina ha trovato una sua stabilità?

R. – Sembra che più passi il tempo e più queste divisioni sentano. Queste divisioni servono per far rimanere al potere certi gruppi, certi partiti che purtroppo non vedono nel loro interesse la riconciliazione. Bisogna tenere presente che la disoccupazione è quasi al 56% e c’è tanta gente che vive veramente sotto la soglia della povertà: tutto questo favorisce questa divisione e nonostante i tanti impegni e nonostante i tanti tentativi di molti gruppi, delle Chiese e delle comunità religiose, purtroppo non si vedono passi positivi sulla strada della riconciliazione del Paese, sia politica sia territoriale. Noi rimaniamo purtroppo un Paese diviso e la divisione territoriale è stata anche imposta: due organizzazioni politicamente del tutto diverse, ma anche diverse nella visione del futuro: direi non soltanto diverse, ma opposte. Certamente, questo impedisce qualsiasi iniziativa per cercare di fare qualcosa di positivo nel senso comune, di tutto il Paese… Certo, questa divisione politica impedisce tutto il resto! E molti sfruttano tutto questo per i loro interessi…

D. – La Chiesa, invece, cosa chiede? Qual è l’apporto della Chiesa cattolica alla società?

R. – Bisogna dire che la Chiesa in Bosnia ed Erzegovina è sempre più debole, sempre più povera… Forse una forza morale, questo sì. La Conferenza episcopale ha lanciato un appello ad andare alle urne, a votare secondo la propria coscienza e a guardare a coloro che si candidano, cercando di votare chi almeno dia l’impressione di essere capace, ben disposto a fare qualcosa per il bene comune. Certamente, la Chiesa continua a essere aperta al dialogo interreligioso, all’ecumenismo e allo stare accanto alla povera gente.








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