2014-10-10 14:48:00

La Caritas di Roma compie 35 anni. Mons. Feroci: cresce povertà morale


35 anni fa nasceva la Caritas di Roma. Oggi, di fronte ad una città che cambia, ci si interroga su quali siano le nuove forme di povertà nella capitale. Per un bilancio dell'attività svolta in questi anni dall'organismo cattolico, Lucia Fiore ha intervistato il direttore della Caritas romana, mons. Enrico Feroci:

R. – Io credo che l’intuizione di Paolo VI, così bella e così ricca, abbia dato un volto nuovo alla presenza della Chiesa sul territorio, perché ha voluto la Caritas come realtà pedagogica, per la comunità cristiana. E’ stata interpretata da mons. Luigi Di Liegro, il primo direttore della Caritas di Roma, in maniera molto ricca, molto egregia. E in 35 anni noi abbiamo, qui a Roma, oggi, una presenza di segno molto bello, molto forte. Io sto parlando in questo momento dalla Cittadella della Carità Santa Giacinta, dove ci sono tante “opere segno”. La comunità cristiana, infatti, proprio vedendo quello che molti volontari, operatori fanno per la città, può rendersi conto che può svolgerlo a sua volta nelle comunità parrocchiali, nelle realtà territoriali. Quindi è stato quasi un motore di avviamento di una macchina. La macchina, che è la comunità cristiana, sta camminando - mi sembra - in maniera molto bella. Il motore di avviamento, che è la Caritas, ha fatto sì che questa macchina camminasse e andasse avanti. E’ ovvio che la Caritas non può mettersi al posto della comunità cristiana, come la comunità cristiana non può prescindere da chi l’avvia e la rende capace di poter rispondere ai bisogni dell’uomo di oggi.

D. – Quali sono le nuove forme di povertà che stanno emergendo?

R. – Io davanti a questa domanda mi interrogo sempre e cerco di dare una risposta ad ampio raggio. Molte volte si pensa che – ed oggi è vero – aumentano i poveri, perché si perde il lavoro, perché si perde la casa, perché non si hanno prospettive per il futuro. Troviamo delle famiglie che vivono per la strada o persone che sono veramente senza speranza, perché perdono il lavoro. Ma io credo che la grande povertà, oggi, sia una povertà di tipo etico. Oggi, infatti, vediamo uno spaccato della gioventù che non ha un futuro, che non ha un domani; troviamo una violenza assurda, troviamo - quello che dicono i sociologi e lo troviamo proprio sul campo - l’evaporazione della figura del padre; i giovani che non solamente implodono con patologie molto forti, ma soprattutto una società che sta implodendo in queste patologie discriminanti e quindi non aperte verso gli altri. Questa mi sembra che sia la povertà di oggi. Il nostro compito, quindi, non è solamente quello di dare un piatto di minestra, di dare un letto, di dare un tetto. Queste sono risposte risalenti forse ai primi tempi della Caritas. Oggi dovremmo attrezzarci a dare risposte ancor più variegate e forse meno visibili, ma molto più necessarie. Faccio un esempio: come Caritas abbiamo messo in piedi un servizio, chiamato servizio alla persona - perché le persone hanno delle ferite invisibili - con psicologi e con terapeuti. Le persone oggi, infatti, non hanno solamente la difficoltà del vivere quotidiano, del mangiare, del dormire, ma hanno delle patologie, delle realtà interiori sconcertanti. I giovani sono senza speranza, senza futuro. Credo che tutti quanti noi, leggendo i giornali, vedendo i mass media, ci rendiamo conto della difficoltà dei giovani, soprattutto nel guardare verso il futuro, verso il domani. E credo che la Caritas debba intercettare questo dolore, questa sofferenza, che è una sofferenza forse non visibile, ma sorda, presente, molto variegata, soprattutto nel mondo giovanile. Questo credo che debba essere oggi la nostra risposta ai problemi attuali.

D. – Come si prepara la Chiesa di Roma a rinnovare il suo impegno per i più poveri?

R. – Noi abbiamo innanzitutto un Osservatorio, lo abbiamo messo in piedi e lo stiamo incrementando sempre di più. Credo che il primo compito della Chiesa e dei cristiani sia quello di aprire gli occhi, ce lo dice il Vangelo. E la parabola del buon samaritano ci dice che: colui che lo vide, si fermò davanti al problema. Quindi noi stiamo incrementando questa capacità di intercettare, di vedere e quindi anche, ovvio, di mettere in piedi servizi. Ma noi siamo qui soprattutto per animare le comunità parrocchiali, perché sul territorio loro sappiano rispondere ai bisogni delle persone. Oggi ci sono bellissime realtà, anche di attenzione ai poveri, negli ambienti parrocchiali. La Caritas, quindi, non è più solamente diocesana, nel senso della centralità dei servizi, ma è una presenza locale, vissuta dalle comunità parrocchiali, dalle prefetture nei vari settori della città.

D. – Quali sono gli obiettivi futuri della Caritas?

R. – Il nostro compito è proprio quello di portare le persone a capire che c’è una prospettiva, c’è un domani, c’è un futuro, c’è una spiritualità, e questo credo che sia anche il compito della Caritas.








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