2014-10-10 13:30:00

Giornata contro la pena di morte: aumentano Paesi abolizionisti


Si celebra oggi la Giornata mondiale contro la pena di morte. Ancora numerosi i Paesi che applicano la pena capitale, giudicandolo un deterrente contro il crimine, anche se i dati sconfessano la sua efficacia. Ma la situazione anno dopo anno è in lieve miglioramento: in aumento i Paesi abolizionisti. Ad analizzare la situazione attuale, Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International al microfono di Paola Simonetti:

R. – I Paesi che non applicano più la pena di morte sono ormai 140. Quelli che ce l’hanno ancora, nelle leggi, sono 58, ma negli ultimi due anni il numero di quelli che, effettivamente, hanno usato la pena di morte si colloca intorno ai 20, 22. Andrà così anche quest’anno. E’ ovvio ricordare che dietro questi numeri ci sono delle vite umane ed è importante sottolineare che sebbene la pena di morte sia applicata in poco più del 10 per cento della comunità internazionale, è prevista in Paesi estremamente popolosi ed è applicata in modo massiccio. In Cina, in Iran, in Arabia Saudita, in Iraq, negli Stati Uniti, ogni anno sono migliaia le esecuzioni, soprattutto per demerito della Cina, dove la pena di morte è applicata in maniera veramente spaventosa.

D. – Nei Paesi dove viene ancora eseguita, perché è così difficile estirparla come pratica?

R. – Nei Paesi del G8, giusto per identificare una categoria, come Stati Uniti e Giappone, permane l’idea che la pena di morte abbia un carattere retributivo, cioè si colpisce nella stessa misura una persona che ha commesso un crimine orribile quale l’omicidio, spesso in circostanze particolarmente efferate. E c’è anche l’idea, negli Stati Uniti soprattutto, che la pena di morte dia conforto ai familiari di chi ha subito un crimine violento. Va detto che, proprio negli Stati Uniti, sempre di più sono le famiglie colpite dalla criminalità, che chiedono allo Stato di non farsi giustizia in quel modo, nel loro nome, cioè con la pena di morte. Poi ci sono Paesi nei quali la pena di morte è difficile da scalfire, intanto perché non è possibile contestarne l’uso. Ci sono Paesi in cui la pena di morte non è l’unica violazione dei diritti umani, ma ad esempio è impossibile esprimere un’opinione al riguardo. Paesi nei quali si ritiene che la pena di morte assolva anche un dovere di controllo sociale, non soltanto sui comportamenti penali, ma anche sui comportamenti ordinari. Penso a tutti i Paesi del Medio Oriente in cui, in modo più o meno radicale, è applicata la sharia. Sono Paesi nei quali i comportamenti di natura morale, che non sono considerati assolutamente reati dal resto del mondo, sono puniti con la pena capitale. Penso all’apostasia, penso all’adulterio e altro ancora. In questi Paesi, laddove non c’è un dibattito pubblico, va avanti il mito che la pena di morte è desiderata dalla popolazione. Se si desse la parola alla popolazione, probabilmente non sarebbe così evidente.

D. – Nei Paesi dove per legge ancora c’è la pena di morte, ma di fatto non si applica più, cosa incide?

R. – Nei Paesi in cui la pena di morte c’è, ma non viene applicata, viene considerata uno spauracchio. Faccio l’esempio del Marocco, dove sono 20 anni che non c’è un’esecuzione, però ci sono condannati a morte che stanno in presunta attesa dell’esecuzione da 15 anni. Rimane lì, quindi, come un monito di presunta deterrenza. Poi, in realtà, scopriremo che la deterrenza non c’è. L’idea che si debba uccidere chi ha ucciso, e che questo serva a dimostrare che non si deve uccidere, è un’idea priva di qualunque fondamento. Lo dimostrano tutti gli studi effettuati nel mondo.

D. – La giornata di oggi rilancia il ‘no’ forte, il monito contro la pena di morte. Però, secondo voi, come organizzazione, quali sono i passi realmente necessari per far almeno progredire l’abolizione delle esecuzioni nel mondo?

R. – Ma, intanto, anche quest’anno all’Assemblea generale delle Nazioni Unite si arriva con una risoluzione che chiede una moratoria sulle esecuzioni, un dibattito all’interno dei Paesi mantenitori, in vista della progressiva e definitiva abolizione. E sarà importante che questa risoluzione passi con un numero ancora più elevato di voti a favore e con un numero minore di astensioni e soprattutto di voti contrari. E poi c’è il lavoro, che viene fatto fuori dal Palazzo di Vetro, costantemente, nei confronti dei Paesi mantenitori, soprattutto nei confronti di quei Paesi che, appunto, non hanno usato la pena di morte per anni e che potrebbero avviarsi verso l’abolizione. Poi, il lavoro ancora più quotidiano che c’è da fare è quello di mobilitarsi per salvare vite umane. E’ quello che Amnesty International fa tutti i giorni con risultati a volte positivi, a volte meno. Mi piace ricordare che proprio due giorni fa in Iran, grazie ad una mobilitazione globale, è stata sospesa l’esecuzione di Reyhaneh Jabbari, una donna che era stata giudicata colpevole dell’omicidio di un uomo che l’aveva aggredita sessualmente e che per questo era stata condannata all’impiccagione.








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