2014-10-09 15:28:00

In un libro le interviste al Papa, il racconto di Giansoldati e Tornielli


La Libreria Editrice Vaticana (Lev) ha pubblicato il volume “Interviste e conversazioni con i giornalisti”, che raccoglie in ordine cronologico tutte le interviste rilasciate da Francesco. Il volume è a cura del direttore della Lev, don Giuseppe Costa. Nel servizio di Alessandro Gisotti, il commento di due “intervistatori del Papa”, Franca Giansoldati del “Messaggero” e Andrea Tornielli de “La Stampa”:

Sono passati 50 anni da quando Alberto Cavallari intervistò Paolo VI per il Corriere della Sera, la prima volta di un'intervista a un Vescovo di Roma. Da allora i Pontefici non si sono sottratti a questa modalità di comunicazione che è diventata sempre più importante per capire l’uomo oltre il Papa. “Con l’avvento di Papa Francesco – rileva don Costa – è subito apparso ai giornalisti (e non) che l’intervista potesse essere il genere a lui più congeniale”. Un pensiero che trova conferma nella testimonianza di Franca Giansoldati, vaticanista del Messaggero:

R. – Quel pomeriggio, credo che lo ricorderò a lungo perché sono entrata a Santa Marta con una scaletta di domande precise, che riguardavano soprattutto Roma perché era stato concordato che al centro dell’intervista ci fosse il rapporto di Papa Bergoglio con la città di Roma. Quindi, non dimenticherò quel pomeriggio perché praticamente tutto l’impianto che avevo in testa è saltato in cinque minuti: infatti, già dalla prima domanda Bergoglio mi ha spiazzato perché ha detto candidamente che con la città di Roma non ha grande familiarità: “Guardi, io non conosco tanto Roma”, e a quel punto, è saltato subito l’impianto delle domande che avrei dovuto fargli ed è diventata una conversazione: una conversazione libera, una conversazione profonda. Non voglio mancare di rispetto, però sembrava una conversazione tra amici, perché ad un certo punto lui faceva le domande a me, io lo interrompevo … una cosa che non avrei mai dovuto fare, però lo interrompevo mentre lui mi parlava, magari per chiedergli meglio, o avere delle precisazioni su un concetto che stava illustrando …

D. – Si può dire che anche nelle interviste si vede come Francesco creda nella cultura dell’incontro? Cioè, non solo lui dà a chi ha come interlocutore, ma anche riceve?

R. – Il dono di questo Papa nell’incontro umano è un dono particolare, che è quello dell’empatia: riesce ad entrare direttamente nell’altra persona, nell’interlocutore che ha davanti; riesce ad arrivare al nucleo delle persone come se ti conoscesse … cioè, mi sembrava veramente di parlare con una persona che conoscessi bene!

D. – Cosa ti ha colpito della sua modalità di comunicazione?

R. – In questi giorni, al Sinodo, lui ha detto ai Padri sinodali di seguire la parresia: è proprio la schiettezza, la franchezza, il parlare senza orpelli … Per esempio, non vergognarsi nel dire: “Io non conosco Roma”: non è semplice per un Papa ammettere di non avere familiarità con una città per la quale lui ha un ruolo istituzionale così importante. Insomma, la franchezza, l’immediatezza, la spontaneità.

E sulla spontaneità di Francesco che rompe gli schemi si sofferma anche il vaticanista de La Stampa, Andrea Tornielli, che conosce Jorge Mario Bergoglio dagli anni in cui era arcivescovo di Buenos Aires:

R. – Era la prima volta che, non soltanto intervistavo a tu per tu, lungamente, - perché l’intervista è durata un’ora e mezza – un Papa, ma era anche la prima volta che avevo l’occasione di pranzare a tu per tu con un Papa. Era, dunque, un insieme di prime volte. Devo dire che, al di là delle emozioni e delle preoccupazioni iniziali, come avere almeno due registratori, perché con un Papa non si dovrebbe ricostruire a memoria... poi è cambiato tutto e c’è stata come sempre la sua semplicità, la sua spontaneità, che era quella che peraltro io avevo conosciuto, intervistandolo quand’era cardinale. Un attimo dopo che ci siamo seduti, quindi, mi ha messo totalmente a mio agio, anche se si trattava di fare domande, che entravano sia nel cuore di temi importanti per la fede, ma che riguardavano anche l’ecumenismo o le riforme della Curia, temi dibattuti e di attualità.

D. – Da arcivescovo di Buenos Aires, Bergoglio concedeva poche interviste, non aveva un rapporto – come dire – continuativo con la stampa. Vediamo invece un Papa Francesco a suo agio da subito, un "grande comunicatore" come si diceva di Giovanni Paolo II. Che cosa è cambiato?

R. – Certo, questo è un dato di fatto che si vede. Io credo che l’essere eletti alla sede episcopale di Roma, evidentemente porta anche uno stato di grazia. Non so come definirlo diversamente. Certo è avvenuto un cambiamento: questa capacità, infatti, di comunicare e anche – cosa che colpisce – la capacità di unire sempre gesto e parola. Credo questo sia ciò che la gente capisce. Le persone ascoltano molto volentieri la novità più straordinaria del Pontificato che, secondo me, sono le omelie mattutine a Santa Marta, e vedono lui, seguono i suoi gesti e percepiscono di essere di fronte ad un testimone autentico del Vangelo, prima dai gesti che dalle parole. E la parola è sempre, mi sembra, semplice, efficace, diretta, ma altrettanto profonda e, quando si leggono tutte insieme le omelie di Santa Marta, si vede anche profondamente radicata nel Vangelo.

D. – Che spazio hanno nel magistero di Papa Francesco queste interviste?

R. – Sono l’occasione per far passare qui e là in ogni risposta uno sguardo sulla realtà, sulla vita della Chiesa e sul Vangelo che, talvolta, spiazza e che mette in discussione anche certi schemi sempre prefissati che ci facciamo. Credo, dunque, che in questo senso certamente non possiamo chiamarle “magistero”, ma emerge anche in quelle, anche nelle risposte, uno sguardo interessante sulla realtà, che ci fa capire meglio sia il Papa sia come intende, vive e testimonia il Vangelo.








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