2014-10-07 16:08:00

Myanmar: graziati 3 mila detenuti, pochi i prigionieri politici


In Birmania, saranno 3.073 i prigionieri che verranno graziati dal presidente Thein Sein per la “stabilità del Paese”, come dichiarato dallo stesso capo di Stato, un ex generale al potere dal 2011, dallo scioglimento della giunta, e anche per ragioni umanitarie come invece sottolineato da membri del governo. In realtà, osservatori internazionali mettono in relazione l’annuncio con l’imminente summit dell’Asean, in novembre. Tra i detenuti che verranno liberati vi sono alcuni militari, ma la gran parte sarebbero criminali comuni accusati di piccoli reati. Soltanto un esiguo numero sarebbero prigionieri politici. Francesca Sabatinelli ne ha parlato con Cecilia Brighi, dell’associazione ‘Italia-Birmania insieme’:

R. – Quest’ultima amnistia è stata presentata lo scorso anno dal presidente Thein Sein quando è andato in Gran Bretagna. Aveva promesso la liberazione di tutti i prigionieri di opinione. L’amnistia riguarda oltre 3 mila detenuti, di cui solo una piccola parte sono detenuti di coscienza, prigionieri politici. In realtà non si conosce bene quanti siano ancora quelli rimasti nelle prigioni birmane, sicuramente un numero esiguo rispetto al passo e su questo non c’è dubbio. Quindi è un fatto positivo sia prima dell’incontro Asem di Milano (Asia-Europe Meeting, 16-17 ottobre ndr) la prossima settimana, sia anche dell’incontro con i Paesi asiatici dell’Asean (Associazione delle nazioni del Sudest asiatico ndr).

D. - Uno dei ministri del governo di Thein Sein, presentando questo provvedimento ha parlato di una motivazione umanitaria. Non si fa alcun riferimento, però, al discorso dei reati di opinione, questo come dobbiamo leggerlo?

R. – In realtà le condizioni di detenzione in Birmania sono molto dure, perché le carceri sono vecchissime, non hanno strutture adeguate e quindi questa liberazione risponde anche ad una richiesta fatta dalle associazioni umanitarie, dalla Croce Rossa. Certo è che in alcune situazioni, ancora oggi, la situazione non è così tranquilla: abbiamo arresti di giornalisti per aver scritto o fatto reportage su, per esempio, l’eventuale produzione di armi chimiche nello stato Shan da parte dell’esercito. Ci sono ancora oggi molte tensioni che riguardano i contadini che protestano per la confisca delle terre e che ancora oggi è un problema. La situazione nel Paese è, diciamo, un po’ come un bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto. C’è ancora molto da fare e manca appena un anno alle elezioni politiche.

D. – Si citava prima la riunione dell’Asean, alla quale parteciperà anche Barack Obama e altri leader mondiali. Il Myanmar si presenta all’appuntamento con un vestito nuovo, nel senso delle riforme che possano far entrare dalla porta principale il Paese…

R. – Non c’è dubbio che il Paese abbia avviato una serie di riforme politiche, economiche e sociali molto importanti. Però il bicchiere deve essere riempito ancora di più, perché, per esempio, è ancora aperta la discussione per quanto riguarda la riforma della Costituzione, che dovrebbe essere fatta prima delle prossime elezioni politiche per permettere ad Aung San Suu Kyi di candidarsi. Su questo non c’è una posizione affermativa da parte del partito di governo. C’è la grande richiesta delle organizzazioni etniche, che stanno negoziano un cessate-il-fuoco a livello nazionale, che chiedono un federalismo vero nel Paese. Quindi ci sono parecchi elementi su cui ancora il Paese deve impegnarsi seriamente. Io credo che l’Europa, in particolare, visto che la prossima settimana c’è l’avvio di Asem, debba chiedere alla Birmania di rispettare gli impegni che nel corso di questi ultimi due anni sono stati assunti proprio a fronte della eliminazione delle sanzioni. 








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