2014-10-07 07:29:00

Kobane quasi in mano all’Is, ma Ankara non interviene


Combattimenti a Kobane tra militanti curdi e jihadisti Is per il controllo della citta' siriana al confine con la Turchia. Si spara in diversi quartieri della citta', e ci sono stati numerosi lanci di mortaio. Intanto, nuovi raid della coalizione hanno colpito i jihadisti nel sud-ovest della citta' siriana. E a proposito delle incursioni aeree, dal Pentagono si apprende che da agosto sono state circa 2mila e che solo un 10% è stato compiuto da paesi arabi o alleati, il resto da velivoli statunitensi. Gli Usa solleciteranno gli alleati a fare di piu'. In questo momento fa discutere la posizione della Turchia: il suo esercito è a poche decine di chilometri da Kobane ma non interviene. La Turchia vuole che sulla Siria sia creata una zona interdetta ai voli come condizione per un suo intervento nella coalizione internazionale contro l'Isis: è quanto ha detto alla Cnn il premier turco Ahmet Davutoglu, per il quale occorre anche creare zone sicure per i rifugiati all'interno della Siria, evitando cosi' che ulteriori masse di profughi arrivino in Turchia. Delle scelte di Ankara e della questione dei curdi che sono rimasti gli ultimi a combattere l'avanzata dell'Is in Siria, Fausta Speranza ha parlato con Daniele De Luca, docente di Storia delle relazioni internazionali all'Università del Salento:

R. – Secondo me, la Turchia ha preso posizione e ha preso la posizione di non intervenire in maniera tale da indebolire ancora di più, se ce ne fosse bisogno, la Siria da una parte e i curdi dall’altra. Siria e curdi sono due degli obiettivi che la Turchia persegue già da moltissimo tempo. La Siria, da quando c’è il nuovo presidente Erdogan, mentre la questione curda invece è annosa, antica, vecchia ma irrisolta e che pare non interessi praticamente a nessuno. Oggi, i curdi sono in Siria l’ultimo baluardo all’avanzata del "Califfato" e la Turchia si guarda bene dall’intervenire, per non fare un favore alla Siria, da una parte, e ai curdi dall’altra. E, ancora una volta, vedo che tutti stanno fermi. È vero che c’è stata la promessa di armi per i curdi, ma quelle armi che sono arrivate non hanno avuto conseguenze, nel senso che non c’è stato un rifornimento adeguato e un ulteriore rifornimento rispetto a quello che già era stato fatto. A breve, i curdi non avranno più le munizioni con cui tentare di bloccare il "Califfato".

D. – A questo punto, visto tutto l’evolversi della zona mediorientale, la questione curda si ripropone con accenti un po' nuovi, anche se restano i punti fermi della questione di sempre…

R. – Sì, la questione curda è stata, per anni e anni, completamente dimenticata e anche travisata, perché si è considerato come rappresentante del movimento curdo soltanto il Pkk. Ma il movimento curdo non è soltanto il Pkk, non è soltanto il Partito comunista. La questione curda è una questione estremamente grave, che in questo momento si è ripresentata in tutta la sua drammaticità proprio perché vengono perseguitati: sono i combattenti ma vengono abbandonati ancora una volta.

D. – Lo ricordiamo, la questione è che c’è un popolo senza uno Stato…

R. – Assolutamente sì, o meglio, ci sarebbe un territorio a cavallo tra la Turchia e la Siria, che sarebbe il Kurdistan; non esiste uno Stato. L’avevano pensato con i Trattati di Pace di Versailles ma, alla fine – stiamo parlando del 1919 – non se n’è fatto più niente, perché evidentemente non c’erano interessi politici nell’area, o meglio, i curdi non servivano, lo dico brutalmente.

D. – Possiamo dire, molto cinicamente e tristemente, che in tutto questo complicarsi della situazione in Medio Oriente alla fine ci guadagnano gli jihadisti del cosiddetto Stato islamico?

R. – E’ naturale, è assolutamente vero. La debolezza di alcuni gruppi, o il disinteresse degli Stati legittimi fa sì che questi gruppi possano radicarsi ancora di più sul territorio, avere l’appoggio di gruppi estremisti in altri Stati e, praticamente, dominare la scena. Io voglio ricordare una cosa: la politica che lo pseudo-Califfato sta adottando in Iraq in questi ultimi giorni, in queste ultime ore: non sta più utilizzando solo le armi come strumento di controllo del territorio, ma sta usando uno strumento ancora più grave, che è il controllo dell’acqua. E di questo, a tutt’oggi, non se ne parla. Eppure il controllo dell’acqua vuol dire, a questo punto, schiacciare le popolazioni nei villaggi dove si trovano. 








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