2014-10-04 20:11:00

Siria : decapitato ostaggio britannico, battaglia a Kobane


L’approccio non cambia e la missione resta quella di catturare i responsabili. All’indomani del nuovo video che mostra la decapitazione da parte dell’Is del quarto ostaggio occidentale, il britannico  Alan Henning, il premier britannico Cameron e il suo più forte alleato, il presidente americano Obama, avvertono i jihadisti che l’offensiva prosegue. Francesca Sabatinelli:

Si temeva il nuovo video, quello che ieri sera ha annunciato il brutale assassinio del volontario britannico Alan Henning. Lui, che era amico dell’islam, come hanno dichiarato i musulmani di Gran Bretagna, non è stato risparmiato e ora il nome che si ripete è quello dello statunitense Peter Kassing, nelle mani, è la conferma di Washington, dei miliziani del sedicente stato islamico che in un nuovo video hanno inviato ulteriori minacce contro Londra attraverso un jihadista a volto scoperto, identificato come un britannico di 27 anni. L’omicidio di Henning, condannato dal consiglio di sicurezza dell’Onu e dalla comunità internazionale, non farà comunque cambiare strategia alla coalizione che intende catturare i responsabili, ripetono il premier Cameron e il presidente Obama. I raid proseguono, la notte scorsa almeno 35 jihadisti sono morti negli attacchi della coalizione internazionale nel nord-est della Siria, si combatte in particolare a Kobane città curda al confine con la Turchia, assediata dall’Is, al quale arriva l’avvertimento di Ankara, se verrà toccata l’enclave turca all’interno della Siria, che custodisce la tomba di Sleyman Shah, l’esercito farà quanto è necessario. Finora però la Turchia non è intervenuta, perché? Risponde al microfono di Gabriella Ceraso, Alberto Negri inviato del "Sole 24 ore" nell’area:

R. – Gli Stati Uniti hanno inglobato un alleato che prima era un alleato riluttante e adesso è un alleato forse con le mani legate perché prima la Siria, poi l’Iran, poi anche l’Iraq, hanno dichiarato che non intendono accettare un intervento turco che superi i confini dei loro Paesi. Quindi, in qualche modo, è venuto a nudo il fallimento della politica turca di questi anni: “Zero problemi con i vicini”. Poi, c’è la questione di Kobane stessa: i turchi in una sorta di dimostrazione assai ambigua di forza hanno fatto schierare 50, 60 carri armati sulla collina, hanno mobilitato 10 mila uomini. Ma non sono intervenuti perché i turchi non vogliono sostenere i curdi che combattono lì perché sono comunque legati al Pkk turco di Abdullah Öcalan. Quindi, se non combattono i curdi sul terreno, se i turchi non li aiutano e se gli altri Stati non accettano un intervento militare della Turchia, in che situazione ci troviamo? Chi deve combattere allora questa guerra? Chi lo fa questo "lavoro sporco" sul terreno? Qui Erdogan e la Turchia rischiano di perdere la faccia e non solo loro, ma anche gli Stati Uniti: questa coalizione internazionale, raffazzonata, che deve avere a che fare con tutte le contraddizioni dell’area.

D. – Facciamo l’ipotesi "caduta Kobane": significherebbe un’avanzata ai confini non solo della Siria ma anche della Turchia, non sarebbe solo una cosa simbolica?

R. – La caduta di Kobane significa la possibilità per il Califfato di instaurare una sorta di corridoio che da Ovest, Nord Ovest della Turchia, arriva fino al Nord Ovest dell’Iraq, passando attraverso la Siria: un corridoio importantissimo che naturalmente sostiene l’avanzata delle truppe del Califfato. E questo nonostante i bombardamenti e i raid americani perché se quelli del Califfato sono riusciti ad arrivare a Kobane con i carri armati e con l’artiglieria, vuol dire che questi raid, pur numerosi, non sono stati sufficienti o sufficientemente incisivi.

D. – Durante tutto questo movimento di terra c’è questo continuo stillicidio dei video che arrivano, ostaggi che vengono uccisi, minacce e poi eventuali reazioni. Come valutare questa strategia?

R. – Dimostrano che possono in qualche modo appunto mettere sotto pressione l’Occidente anche in questa maniera e non soltanto dal punto di vista militare. Ed è anche la loro sfida ai bombardamenti e ai raid della coalizione internazionale, su questo non c’è dubbio.








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