2014-09-20 07:55:00

Contro l'Is in Iraq anche raid francesi oltre a quelli Usa


Sembra proprio tutto pronto per passare alla seconda fase dell'offensiva contro il sedicente Stato islamico. Mentre prosegue l’impegno dei raid Usa in Iraq, con il contribuito anche della Francia, si parla sempre di più di passi significativi in Siria. Il servizio di Fausta Speranza

In Iraq, a parte l’invio di armi o aiuti, al momento ad esporsi, accanto agli Usa, è la Francia: i Mirage, come promesso dal presidente Hollande, sono già entrati in azione, unendosi ai raid dei caccia Usa. Intanto si guarda sempre più concretamente alla Siria. Il Senato americano, con un voto bipartisan, ha dato l'ok definitivo al piano per addestrare e armare i ribelli siriani filo-occidentali. A questo punto, dunque, si attende solo il via libera per colpire i punti forti dei jihadisti in Siria, che - stando alla testimonianza di alcune Ong –  nelle ultime 48 ore hanno preso il controllo di altri 40 villaggi curdi nel nord. Oltre ai 20 di cui si sapeva.  Sul piano diplomatico, resta il nodo Iran. Dopo l’assenza alla Conferenza di Parigi, Obama fa sapere che la porta della collaborazione è ancora aperta. Da Teheran il ministro degli Esteri Zarif risponde che Washington non fa sul serio. Occasione di colloqui importanti potrebbe essere l'Assemblea Generale dell’Onu la prossima settimana a New York. L’Alto rappresentante Ue Mogherini ha già fatto sapere che parlerà con il ministro degli Esteri iraniano Zarif. 

  

C’è la buona notizia che sono stati liberati 49 ostaggi turchi, tra cui militari e bambini, catturati a Mosul. Ma c’è anche il terribile bilancio dei morti in Iraq: dall'inizio dell'anno sono 8500. Lo ricorda il Consiglio di sicurezza dell’Onu, che condanna la “barbarie” degli estremisti del cosiddetto Is e chiede un "approccio globale" di tutti i Paesi contro la minaccia terroristica. Ascoltiamo, nell’intervista di Antonio Elia MIgliozzi, l’editorialista del Corriere della Sera Antonio Ferrari:

R. - Si allarga il campo dei partecipanti e più si allarga, più per l’Is dovrebbe essere il pesantissimo segnale che il mondo è determinato. Abbiamo molti Paesi dell’Occidente e abbiamo anche molti Paesi dell’islam, dell’islam cosiddetto moderato. E questo per l’Is è un segnale molto importante. Le possibilità a questo punto per questi tagliagole - perché non trovo altro termine per classificarli - sono o di alzare ancora il tiro - non so fino a quanto a loro convenga, ma la loro logica naturalmente ci sfugge - oppure di cominciare a ripensare - se c’è qualcuno pensante all’interno di questa congrega! - a una strategia che per il momento ha soltanto scatenato la rabbia del mondo. E se un presidente degli Stati Uniti si è spinto a dire, in maniera molto chiara e netta, “li annienteremo”, questo vuol dire qualcosa…

D. - Preoccupa l’ingresso tra i ranghi dell’Is di ribelli balcanici?

R. - E’ un’altra novità, oltre a quelle che abbiamo ascolto nei mesi scorsi, nelle settimane scorse, con un forte inserimento di europei, magari di discendenza islamica o comunque anche non islamici che volevano andare a trovare una ragione di vita. Nei Balcani ci sono delle tensioni che non sono state superate: basta andare a Sarajevo - e non soltanto a Sarajevo - per rendersi conto che sotto la cenere cova ancora una grandissima percentuale d’odio e di risentimento per quello che è stato stabilizzato finora. Questa - ahimè  - può essere una spinta molto pericolosa, perché rischia di creare veramente la “multinazionale del terrore”. Era quello che si temeva un tempo e che oggi potrebbe esserci se il mondo non fa seguire alle minacce di intervento un’azione concreta. Voglio dire: se non succede questo, il rischio di creare questa “multinazionale del terrore” è molto ampio.

D. - Si combatte anche in Siria e il Congresso americano autorizza la Casa Bianca a fornire sostegno ai ribelli filoccidentali. C’è il rischio che queste armi finiscano per essere usate contro l’Occidente?

R. - Abbiamo vissuto questi ultimi anni con mille sorprese. Abbiamo seguito la storia di Osama Bin Laden, che aveva avuto le armi dagli americani per combattere contro i sovietici in Afghanistan e poi ha rivolto queste stesse armi contro chi gliele aveva date e cioè contro gli americani, fino a organizzare o a pianificare gli attentati alle Torri dell’11 settembre del 2001. Quindi, è evidente che abbiamo dei precedenti e questo - quello che ho appena citato - non è l’unico. Credo che questa sia semplicemente una formulazione per dire non siamo favorevoli al regime di Assad, ma siamo pronti anche ad aiutare i ribelli: io non so dove si trovino questi ribelli "puri", diciamo non contaminati dai due estremismi islamici presenti sul territorio… In fondo, questa mi sembra una dichiarazione e un proponimento più legato ad acquietare quelli che si chiedono come sia possibile che l’anno scorso gli americani fossero pronti, diciamo, a bombardare il regime di Assad e oggi, in qualche misura, possono essere visti come coloro che agiscono contro i nemici di Assad.

 








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