2014-09-12 14:01:00

A Otranto, il premio "Giornalisti del Mediterraneo"


Ad Otranto la sesta edizione del premio “Giornalisti del Mediterraneo”, iniziativa che si colloca in un momento di forti tensioni che scuotono le sponde del Mediterraneo stesso. Sul significato dell’evento in questo contesto e sull’importanza dell’impegno per il dialogo e la pace Antonio Elia Migliozzi ha intervistato Lino Patruno giornalista e presidente della giuria:

R. – Noi sappiamo che il Mediterraneo è la culla di tutto: è stato il mare in cui sono nate le civiltà, in cui sono nate le religioni, le scienze… Adesso, è diventato un mare in cui passano i barconi, in cui muore la gente, si trasmettono tensioni derivanti dalle guerre che ci sono sulla sponda Sud del Mediterraneo. La finalità del Premio è raccontare tutto questo, ma dare anche un’idea di come si possa superare la fase del Mediterraneo di guerra, per farlo tornare – finché sarà possibile – un Mediterraneo di pace, di dialogo e di scambio di culture.

D. – Si possono raccontare le crisi in atto nel Mediterraneo, senza tralasciare l’impegno profuso per la pace e per l’aiuto di chi si trova in difficoltà?

R. – E’ esattamente quello che fanno i giornalisti concorrenti al Premio, quest’anno come negli anni scorsi: vengono fuori racconti di solidarietà, di umanità e di organizzazioni non governative che si impegnano; ma anche l’impegno di persone, dall’altra parte del Mediterraneo, per alleviare le sofferenze delle popolazioni; perché si passi da un Mediterraneo di guerra ad un Mediterraneo nel quale la cultura, il dialogo e il giornalismo possano svolgere un ruolo fondamentale per ripristinare situazioni e condizioni delle quali il Mediterraneo è stato in passato la culla ed il fondamento.

La vincitrice assoluta di questa edizione è la giornalista Tamara Ferrari per il suo reportage sulla guerra in Sudan. Sul suo giornalismo e sulla attenzione dei media ai conflitti negli Stati che si affacciano sul Mediterraneo. La sua testimonianza:

R. – Ovunque io vada, in qualsiasi Paese del mondo colpito da una guerra, ma anche no, cerco di portare alla luce quello che è il livello umano delle guerre, delle tragedie che colpiscono le popolazioni di questi Paesi. Quindi, mi soffermo sempre sull’umanità, cerco di capire chi sono le vittime di queste guerre. Ho anche scritto un libro, pubblicato a maggio, nel quale raccolgo le testimonianze delle popolazioni dell’Iraq, del Sud Sudan, della Libia, della Siria e dell’Afghanistan: in questo libro non ci sono i motivi geo-politici, che hanno scatenato le guerre, ma parlano le persone che le guerre le subiscono.

D. – Ritiene che nel mondo della stampa si presti sufficiente attenzione ai drammi del Mediterraneo, sempre più stretto dalla morsa delle guerre?

R. – Dipende dalle testate giornalistiche, dipende dai momenti. In questo determinato periodo storico c’è un po’ più di attenzione, che però si manifesta quando c’è il fatto eclatante e poi ci si dimentica; infatti, si parla di “guerre dimenticate”. Il problema, secondo me, è che bisognerebbe tenere sempre l’attenzione puntata su quello che succede, soprattutto nelle terre del Mediterraneo, perché poi quello che succede lì si ripercuote - per cause di forza maggiore - sulle nostre vite. Siamo abituati a fare un elenco degli sbarchi, un elenco dei morti; nessuno ci ha abituato ad andare a guardare cosa c’è a monte; non sappiamo nemmeno come rapportarci a loro perché non sappiamo quello che loro hanno vissuto e quello da cui stanno ancora scappando.








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