2014-09-10 14:48:00

Violenza jihadista: commenti di padre Basanese e dell'imam Izzedin


Dopo l'appello giunto dal Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, si sono susseguite, nelle ultime settimane, le condanne dei rappresentanti del mondo musulmano ai crimini di guerra commessi in Medio Oriente dai terroristi del sedicente Stato Islamico.  Alle parole è necessario però accompagnare azioni concrete per sradicare la violenza, come sottolinea padre Laurent Basanese, gesuita, docente di Teologia araba cristiana e  Islamistica presso la Pontificia Università Gregoriana. L'intervista è di Fabio Colagrande:

R. - Ci sono state delle reazioni abbastanza veloci, ma progressive, da parte del muftì egiziano, del muftì della Mecca … Però, bisogna ascoltare attentamente quello che dicono. Ad esempio, il muftì egiziano un mese fa diceva: “Questo Stato islamico rappresenta un pericolo per l’islam e per i musulmani, danneggiando la sua immagine, uccidendo e diffondendo la corruzione”. Ha detto questo subito dopo la chiamata della Santa Sede ad una reazione. Lo stesso muftì della Mecca ha reagito dicendo: “Dobbiamo combattere lo Stato islamico se questo combatte i musulmani”. Quindi c’è sempre un po’ di ambiguità. Direi che non c’è un islam che condanna ma delle autorità; o meglio, se c’è un islam che condanna lo Stato islamico, sono gli sciiti che non hanno mai voluto un califfato. Grazie a Dio ci sono anche degli "Schindler" musulmani, persone che salvano cristiani, yazidi … Ma il punto è che non basta condannare: bisogna agire alla radice per fermare questa nuova forma di nazismo che promuove l’odio razziale. Reagire: in che modo? Formando alla riconciliazione tra sciiti e sunniti, formando al perdono nelle prediche nelle moschee, all’amore verso i cristiani, verso gli ebrei, verso gli yazidi …

D. - Come giudica la copertura che i mass media occidentali hanno dato alle prese di posizione dei rappresentanti musulmani nei confronti del sedicente Stato islamico?

R. - Non guardo con attenzione i giornali o internet ogni giorno. Direi che anche se prese di posizioni fossero meglio diffuse non cambierebbe di molto. Aspettiamo atti e riforme non solo per il bene dei cristiani o degli yazidi, degli sciiti … L’umanità non vive più nel Medioevo. Quindi c’è bisogno di atti.

D. - Per il bene degli stessi musulmani potremmo dire …

R. - Certo, anche per loro.

"Il rispetto e la protezione della Gente del Libro é un dovere ineludibile di qualunque potere che si richiami all’Islam". L'affermazione è contenuta in un "Appello contro le guerre" pubblicato il 12 agosto scorso sul sito dell'Ucoii, l'Unione delle Comunità islamiche d'Italia. Fabio Colagrande ne ha parlato con il presidente Elzir Izzedin, imam di Firenze:

R. - Tutto il mondo islamico si ribella a questo gruppo criminale che cerca di usare la religione, e compie atti criminali in nome della religione. Credo che sia necessario lavorare per trovare un sistema di libertà, di democrazia in questa parte del mondo - in Siria, in Iraq - e trovare giustizia per non lasciare alibi ad un gruppo, ad una persona di prendere la bandiera della religione come se fosse la violenza o la criminalità che possono far tornare la giustizia sulla terra. Abbiamo bisogno di lavorare su un lato molto importante: il confronto e il dialogo interreligioso. C’è bisogno degli atti veri! Ci sono tanti pregiudizi. Cristiani, yazidi e altri gruppi hanno vissuto con l’islam per 14 secoli; stiamo diventando ostaggi di una piccola minoranza criminale sia nel mondo islamico che cristiano ma direi di tutta l’umanità. Dobbiamo lavorare insieme per uscire da questa trappola.

D. - Come presidente delle comunità islamiche d’Italia, dell’Ucoii, come giudica il fatto che molti musulmani provenienti dall’Italia siano andati a combattere nelle file dei terroristi dell’Is?

R. - Qui bisogna fare una precisazione. Ringraziando Dio quello che abbiamo potuto vedere, leggere nei giornali è che le nostre forze dell’ordine hanno detto che al massimo sono una trentina o una quarantina i musulmani che sono andati in Iraq. Fra l’altro si tratta di persone che hanno deciso di partire - attraverso internet, e non le moschee - e che fino a ieri non erano musulmani; all’improvviso hanno scelto l’islam per andare lì. Noi in Italia siamo tranquilli, vediamo la nostra realtà italiana tranquilla. Dopo l’11 settembre abbiamo usato una strategia politica del tipo “meglio prevenire che curare”. Abbiamo fatto tantissimi corsi di aggiornamento per l’imam, abbiamo aperto la moschea a tutti e questo ha fatto sì che oggi possiamo dire che in Italia siamo tranquilli.








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