2014-09-10 14:22:00

Papa a Redipuglia: lo storico Mondini su Chiesa e I Guerra Mondiale


I motivi che hanno portato allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, un secolo fa, sono ancora oggetto di studio degli storici. Tra questi, l'imporsi del concetto di Nazione fino ad esasperati nazionalismi, la crisi sociale dell'impero austro-ungarico, il commercio delle armi, la visione della guerra come "purificazione" dell'umanità. Temi che si ripropongono alla nostra attenzione, in occasione del pellegrinaggio di preghiera del Papa, sabato prossimo, al cimitero austro-ungarico di Fogliano e al Sacrario Militare di Redipuglia, in provincia di Gorizia, per i caduti e le vittime di tutte le guerre. Ma cosa pensava la Chiesa, allora, della guerra? Perchè gli sforzi di Benedetto XV per evitare la guerra non furono ascoltati tra i cattolici? Luca Collodi lo ha chiesto al prof. Marco Mondini, storico, docente di "Storia Contemporanea" presso l'Università di Padova e consulente scientifico della Struttura di missione per il Centenario della Grande Guerra presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri:

 R. – Come è noto, socialisti e cattolici rappresentavano, insieme ai liberali giolittiani, di fatto la maggioranza dell’opinione pubblica di quello che all’epoca di definiva lo “spirito collettivo”: una maggioranza fondamentalmente neutralista, o – per quello che riguardava la gran parte della popolazione delle campagne – fondamentalmente non interessata al discorso sulla guerra, e alle sue motivazioni politiche. E fu una maggioranza largamente bypassata – oggi diremo – travolta, sorpassata, dominata da una minoranza molto più rumorosa, molto più efficace e anche molto più violenta. È abbastanza interessante il fatto che, sia i socialisti, che i cattolici di fatto – una volta che l’Italia entrò in guerra – smisero completamente di lottare, anche da un punto di vista semplicemente delle retoriche pubbliche, contro l’idea che la guerra fosse in definitiva doverosa per il benessere dello stato della comunità nazionale: i socialisti, invocando la famosissima formula del “non aderire, né sabotare”; e i cattolici, in larga parte – nonostante la posizione del Pontefice ancora coerente contro ogni forma di giustificazione della guerra – piegandosi, o allineandosi, meglio ancora, a un dovere patriottico diffuso.

D. – Ci furono atti di pacifismo nella Prima Guerra Mondiale? Penso ai primi tentativi di obiezione di coscienza...

R. – In realtà, fondamentalmente, no. No nel senso che non ci siano state proteste anche in Italia: ci furono atti di protesta clamorosi durante i dieci mesi della neutralità, da parte di chi era convinto che la neutralità fosse solo una parentesi che avrebbe inevitabilmente portato il Paese alla guerra; vennero occupate stazioni per impedire, ad esempio, la partenza delle reclute - che venivano richiamate già prima che il Paese entrasse in guerra – e i comizi, e gli scontri tra interventisti e neutralisti furono molto, molto violenti. Ma, la cosa che caratterizza fondamentalmente l’Italia della Prima Guerra Mondiale è che, in larghissima parte, tutti gli atti di protesta contro la guerra cessarono immediatamente tra il 23 e il 24 maggio del 1915, e fondamentalmente l’Italia si allineò completamente all’idea che - una volta dichiarata - la guerra era diventata necessaria per tutti. Questo non vuol dire che non ci furono casi, anche clamorosi, di rifiuto del dovere: soprattutto in prima linea, disertori, e nelle retrovie, molte e molte migliaia di renitenti testimoniarono che l’appello all’onore e al dovere non era completamente capillare.

D. – Che rapporto c’era tra fede e patriottismo?

R. – Soprattutto negli anni che precedono la Prima Guerra Mondiale, si era tornati a intrecciare un rapporto molto profondo. Non bisogna dimenticare l’ovvia distanza che aveva separato Stato e Chiesa fino ad anni, tutto sommato, molto vicini allo scoppio della Grande Guerra; però, questa distanza era stata progressivamente colmata – tra la fine dell’800 e i primi del ‘900 – e tutto questo fa parte, ovviamente, del movimento più generale di reintegrazione dei cattolici nell’alveo dello Stato liberale.

D. – Nel tormentato rapporto tra fede e guerra, si registra anche il ruolo dei cappellani militari...

R. – Rappresenta veramente uno dei tornanti più esemplari, uno dei casi più eclatanti di questo riallineamento patriottico degli uomini di Chiesa. I cappellani militari svolsero un ruolo fondamentale; non solo un ruolo istituzionale - quello di conforto, di assistenza religiosa - svolsero un ruolo fondamentale, ad esempio, nella comunicazione con le famiglie: il cappellano militare era la figura a cui il soldato, - spesso semianalfabeta - si rivolgeva per scrivere ai cari lontani e quindi rappresentava una figura fondamentale nel collegamento tra fronte e fronte interno. Una delle tante figure provenienti dal mondo della Chiesa che svolse un ruolo supplente nei confronti delle gerarchie statali e militari. 








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