2014-08-27 14:02:00

Libia nel caos. Mons. Magro: Onu aiuti a trovare intesa


In Libia si continua a combattere: il Paese rimane diviso in tre zone: i filo-islamici a Tripoli, le milizie più integraliste a Bengasi e il parlamento eletto a Tobruk. Drammatica la condizione dei profughi che sono intrappolati dai belligeranti in conflitto, mentre è sempre più rovente la polemica sui raid segreti contro le milizie islamiche che gli Stati Uniti attribuiscono a Emirati Arabi Uniti ed Egitto. Il servizio di Marco Guerra:

In Libia la situazione è sempre più fuori controllo sul piano politico, militare e istituzionale. I guerriglieri filo-islamici di Misurata, che de facto hanno preso il potere a Tripoli, hanno smentito  alcune interpretazioni occidentali che li volevano uniti agli integralisti di Ansar al Sharia, gruppo vicino ad al Qaida e protagonista di un auto-proclamato Califfato di Bengasi. "Non abbiamo nessun rapporto con le organizzazioni estremiste, siamo contro il terrorismo e a favore della Costituzione", dice un comunicato che riunisce le milizie che non riconoscono il parlamento eletto. Quest’ultimo  nel frattempo è stato costretto a trasferirsi a Tobruk, incassando il pieno sostegno dell'Egitto. Sono quindi due le assemblee nazionali, considerando che a Tripoli si è intanto riunito il vecchio Congresso generale nazionale dominato dai partiti di ispirazione islamica, il quale ha eletto anche un premier ad interim. Ma nelle strade della capitale resta il caos: stamane è stato saccheggiato il Ministero dell'elettricità. Al momento però è stata scongiurata la saldatura del fronte islamico con gli estremisti di Ansar al Sharia che controllano Bengasi. Infine, i raid aerei su Tripoli generano polemiche dopo la smentita del governo egiziano sul coinvolgimento della sua aviazione, come affermato da fonti americane. Per una testimonianza dal Paese sentiamo il vicario apostolico di Bengasi, mons. Sylvester Magro:

R. – Da tre giorni, grazie a Dio, qui non si sentono più spari, perché i conflitti e le battaglie si svolgono nelle periferie della città. Adesso sembra non ci siano più, perché prima il boato arrivava fino a noi. Speriamo, quindi, continuando a pregare, che ci sia una svolta, un ritorno alla normalità.

D. – La situazione sul terreno vede i filo-islamici a Tripoli, il Califfato a Bengasi e il Parlamento eletto a Tobruk. Si va verso una Libia divisa...

R. – Noi non abbiamo sentito nulla del Califfato in Libia. La situazione, infatti, è ancora fresca. Devono vedere... Sono due, infatti, i governi, ma del Califfato non abbiamo sentito niente. Noi siamo sempre chiusi, specialmente le filippine che lavorano come infermiere. Si rimane dentro per prudenza, per proteggerci e quindi fuori, sul terreno, non conosciamo la situazione. Manteniamo una presenza discreta.

D. – Che cosa succede tra la gente comune? Si percepisce questa guerra?

R. – La gente comune ha il desiderio della pace: vanno a lavoro, infatti, normalmente, i negozi aprono come se nulla fosse, c’è questo desiderio di farla finita e di vivere una vita normale: vogliono stare al sicuro dagli attacchi delle milizie e vorrebbero mandare i figli a scuola, perché le scuole ora sono chiuse. La gente aspira alla normalità.

D. – Voi auspicate, eventualmente, un intervento della comunità internazionale?

R. – Grazie a Dio la situazione non è così terrificante come in Iraq, perché non si sono sentite quelle storie di orrore e di massacri. Si pensa, allora, che grazie all’intervento, agli incontri delle Nazioni Unite si spinga per tornare ad un’intesa, per riportare il Paese alla normalità.








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