2014-08-26 16:56:00

Voli di ricognizione Usa in Siria. A luglio strage di civili in Iraq


In Siria l’aviazione del regime di Damasco ha lanciato decine di raid contro postazioni di miliziani jihadisti del cosiddetto Stato Islamico, accusati oggi dall’Unicef di aver compiuto una strage, lo scorso mese di luglio, nel nord dell’Iraq. Gli Stati Uniti, intanto, negano ogni forma di coordinamento con il regime siriano. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

Oltre 700 civili, appartenenti alla minoranza turcomanna sciita, sono stati uccisi in Iraq da miliziani jihadisti dello Stato islamico. Tra le vittime ci sono bambini, donne e vecchi. La strage – ha reso noto l’Unicef che chiede un D-day umanitario - è avvenuta tra l’11 e il 12 luglio scorsi nel villaggio di Beshir, nel nord del Paese. In Siria, intanto, aerei statunitensi hanno sorvolato le zone controllate dai miliziani jihadisti dello Stato Islamico. Poco dopo questi voli di ricognizione, autorizzati dal presidente americano Barack Obama e dal capo di Stato siriano Bashar Al Assad, l’aviazione siriana ha compiuto decine di raid contro le postazioni dei miliziani islamisti.

Sui voli di ricognizione americani in Siria, Massimiliano Menichetti ha raccolto il commento del prof. Maurizio Simoncelli, vicepresidente di Archivio disarmo:

R. – Evidentemente, la situazione è andata cambiando rispetto a settembre scorso, quando si parlava addirittura di un possibile intervento statunitense contro il governo siriano, in relazione alla vicenda delle armi chimiche. Oggi, di fronte a un governo islamico, quale quello che si sta presentando sulla scena internazionale, questo intervento sembra una scelta nella logica delle cose. Certamente, va a ribaltare tutta una serie di equilibri delineati nell’asse Iran-Assad-Russia e così via, per cui probabilmente anche l’Iran sarà disponibile a dare un sostegno a una strategia contro l’Is e pensiamo che anche l’Arabia Saudita sia interessata a evitare un pericolo di questo genere.

D. – Adesso, dunque, si ridisegnano le alleanze per contrastare quella che viene considerata una minaccia forte?

R. – Certamente, perché lo Stato islamico in un primo momento sembrava che fosse in realtà una porzione della Siria. Oggi, lo Stato islamico diventa uno Stato transnazionale e così come si va configurando è una minaccia aperta per tutti i governi della regione e per i Paesi che svolgono una strategia globale, come gli Stati Uniti, ma anche la Russia e la Cina.

D. – C’è un rischio concreto che dalla sorveglianza si passi a un intervento armato degli Stati Uniti?

R. – Il primo passo fondamentale è la ricognizione sul campo: individuare dove sono gli avversari. A oggi, sapere con certezza se questo porterà a un intervento armato o meno certamente è troppo presto.

D. – Alcuni osservatori internazionali hanno ipotizzato che i miliziani integralisti siano stati aiutati, in un primo momento, proprio dal regime di Assad, per poi ottenere un consenso internazionale a un intervento all’interno della Siria, e che poi queste milizie jihadiste siano uscite dal controllo del regime. Secondo lei, questa tesi è verosimile?

R. – Ci sono diverse testimonianze in tal senso. Armare dei gruppi integralisti per poterli poi utilizzare è comunque molto difficile. Sappiamo che è stato fatto già nel passato ad esempio in Afghanistan e abbiamo visto il risultato con Bin Laden e al Qaeda. Oggi, ci ritroviamo in una situazione simile. La certezza di utilizzo comunque non c’è, ma sicuramente il flusso di armi che è arrivato a queste forze è notevole, come notevole è il flusso finanziario, che ha messo in grado lo Stato islamico di avviare un’offensiva militare di tutto rispetto.

D. – Alcuni dicono che anche le monarchie del Golfo abbiano avuto parte a questo progetto...

R. – Si parla ripetutamente anche dell’Arabia Saudita, in questo campo...

D. – ...che ora, però, si impegnerebbe per contrastare lo Stato islamico...

R. – Così sembrerebbe. Ma ricordiamo che nel Medio Oriente i giochi politici sono molteplici e su diversi tavoli: i Paesi che fino a poco tempo fa erano anche avversari si trovano oggi ad essere alleati e Paesi che erano alleati oggi si mostrano avversari. Forze nuove emergono nel territorio e ci sono popoli che pongono nuove esigenze.

D. – Come leggere la decisione di armare i curdi contro lo Stato islamico?

R. – Armare i curdi  è stata una delle prime risposte che l’Unione Europea è riuscita a dare, compresa l’Italia, ma non dimentichiamo che questo potrebbe aprire altre prospettive. Quando parliamo di popolo curdo, parliamo di Kurdistan, parliamo anche di una parte della Turchia, di una parte dell’Iran e di una parte della Siria. I curdi abitano questi quattro Paesi oltre l’Iraq e quindi armare i curdi, in prospettiva, potrebbe provocare un altro nodo da affrontare. 








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