2014-08-26 13:09:00

Sud Sudan: nuovo cessate il fuoco, ma è crisi alimentare


Cessazione delle ostilità in Sud Sudan e un governo di transizione e unità nazionale entro 45 giorni. È l’accordo siglato ieri ad Addis Abeba dal presidente del giovane Paese africano, Salva Kiir, e dal suo ex vice, Riek Machar, nell’ambito degli incontri promossi dall’Autorità intergovernativa per lo sviluppo (Igad) del Corno d’Africa. Già in gennaio era stata siglata un’intesa per la fine delle violenze tra le fazioni rivali, cominciate a dicembre 2013, con un bilancio di decine di migliaia di vittime e quasi due milioni di sfollati. Secondo l’Onu, in Sud Sudan è in atto la peggiore crisi alimentare al mondo. Sulle attese per il nuovo accordo di cessate il fuoco, ascoltiamo Enrica Valentini, direttrice della Rete delle Radio Cattoliche del Sud Sudan e dei Monti Nuba, raggiunta telefonicamente a Juba da Giada Aquilino:

R. – Sicuramente da parte della popolazione c’è voglia che la situazione si riassesti e che le due parti in conflitto possano davvero accordarsi. Sembra però una strada non facile, perché da entrambe le parti ci sono molte precondizioni e sembra difficile capire esattamente chi debba far parte di questo governo: se, cioè, il presidente e l’ex vice presidente debbano farne parte. Si presume, quindi, che non sia un facile accordo. Per la questione del cessate-il-fuoco è la stessa cosa, più o meno: in questi giorni nello Stato di Unity ci sono stati degli scontri e la settimana scorsa in quello dell’Upper Nile. Quindi sicuramente la situazione può cambiare in qualsiasi momento e non mi sembra ci sia veramente l’intenzione di smettere di combattere e di mettersi d’accordo.

D. – Sul terreno si combatte, dunque. Cosa c’è alla base delle violenze?

R. – Il conquistare o comunque il voler riprendere il controllo di zone di interesse cruciale, zone quindi che garantiscono il controllo sia delle risorse, sia della popolazione in generale.

D. – Ma si può parlare di motivi etnico-politici?

R. – La questione etnico-politica è un po’ lo sfondo di tutto. Gli ultimi scontri che si sono verificati sono avvenuti senza il coinvolgimento di civili e senza uccisioni mirate in una certa tribù o in un’altra, ma proprio a livello di tattica militare.

D. – Invece nei mesi scorsi c’era stato il coinvolgimento di tribù contrapposte?

R. – Sì, diciamo che fondamentalmente i due eserciti fanno parte di due tribù differenti, Dinka e Nuer.

D. – L’Onu ha definito la crisi alimentare in corso in Sud Sudan la peggiore al mondo. Qual è la situazione?

R. – Molte zone non hanno accesso a risorse alimentari e non hanno potuto neanche coltivare, da quando è iniziata la stagione delle piogge, in maggio. Si presume, quindi, che i raccolti non siano abbondanti. Inoltre non è stato possibile coltivare perché gli sfollati sono stati costretti ad andare via, abbandonando anche i posti dove potevano coltivare. E ci sono state difficoltà logistiche per la distribuzione di sementi prima e per la distribuzione di aiuti umanitari adesso.

D. – Quando finirà la stagione delle piogge?

R. – Ad ottobre.

D. - E cosa si prevede per allora?

R. – Da un lato, c’è il rischio che gli scontri si intensifichino, perché le strade saranno percorribili e, dall’altro lato, si spera che le condizioni migliorino, soprattutto le condizioni di vita della popolazione.

D. – Com’è impegnata la Chiesa del Sud Sudan accanto alla popolazione?

R. – Tante strutture della Chiesa danno accoglienza a molte persone, a molti sfollati. I gruppi dei catechisti o quelli legati alla Chiesa nelle varie zone sono quelli che aiutano nella distribuzione dei generi alimentari. Caritas South Sudan e varie Caritas internazionali stanno svolgendo questo servizio e quindi c’è un supporto direttamente nei campi dei rifugiati.








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