2014-08-26 15:24:00

Gaza. Caritas Gerusalemme in aiuto dei bambini: situazione terribile


In 50 giorni di guerra, il conflitto a Gaza ha provocato oltre 2000 morti di cui un quarto bambini. E ci sono poi i minori vittime di disabilità o di traumi difficili da cancellare. Roberta Gisotti ha intervistato padre Raed Abusahlia, direttore della Caritas di Gerusalemme, di ritorno da una missione a Gaza:

R. – Questa guerra di 51 giorni ha prodotto una situazione terribile, a Gaza. Prima di tutto i morti – oltre 2.200 – di cui la maggioranza sono civili e tra questi oltre 550 bambini, 300 donne, più di 200 anziani… E poi, i feriti, che sono oltre 11 mila e un terzo di loro rimarranno disabili. Dunque, per ricostruire quello che è successo in 51 giorni serviranno almeno tra 7 e 10 anni. Oggi, un quarto della popolazione di Gaza vive nelle scuole e ci sono più di 15 mila famiglie che quando torneranno non troveranno più le loro case, che sono completamente distrutte ed altre 30 mila abitazioni sono parzialmente danneggiate. A Gaza, ci sono 400 mila bambini, alunni: quando inizierà per loro l’anno scolastico? Tutte le scuole infatti sono piene di evacuati.

D. – Che cosa può fare la Caritas per questi bambini?

R. – Noi, come Caritas, abbiamo aperto il nostro Centro medico a Al Shati Camp e ogni giorno abbiamo tra i 150 ai 200 casi, soprattutto bambini con diversi problemi di malattie. Inoltre, massima parte dei bambini di Gaza vivono nelle scuole, in un’atmosfera difficile… I nostri volontari della Caritas hanno organizzato giornate per loro di divertimento, per portare un’atmosfera gioiosa ai bambini che da settimane vivono lì.

D. – Dunque, una guerra di sola distruzione, che del resto non ha risolto i problemi di sicurezza del popolo israeliano. Voi siete a contatto con la popolazione palestinese: come vivono loro gli attacchi che vengono portati da loro connazionali verso Israele, che poi sono all’origine delle rappresaglie dello Stato ebraico?

R. – Certamente, ambedue le parti subiscono gli effetti di questa guerra, e questa guerra ha dato la prova che non è possibile una soluzione militare a questo conflitto e che lo Stato di Israele, malgrado la sua potenza militare, non può dopo 50 anni controllare i militanti di Hamas e non può continuare a controllare la volontà di un popolo che chiede la sua libertà. Dunque, io so che la popolazione civile di Gaza vuole la fine di questa guerra e non vuole più violenze contro Israele. E non chiede l’impossibile: chiede di vivere in pace, una vita normale come tutti i popoli del mondo. Dall’altra parte, certamente noi siamo cristiani e diciamo che gli israeliani hanno il diritto di vivere in sicurezza. Ma devono capire che se vogliono la sicurezza e la pace, la strada più corta non sono i muri, non sono i bombardamenti, non è la potenza militare: la strada più corta è la giustizia al popolo palestinese, la fine di queste occupazioni. Ci sono tanti israeliani che hanno capito questa lezione. Avevo proprio adesso nel mio ufficio il rappresentante di un movimento di pace israeliano che si chiama “Bus for Peace”, il pullman della pace: questi ci hanno aiutato negli ultimi giorni a raccogliere viveri, latte, cibo e anche soldi per la popolazione di Gaza. Non soltanto loro, ma tante organizzazioni israeliane, come “Women to Women”, donne per donne. Un altro gruppo che si chiama “Yad b’Yad”, che vuol dire mano nella mano, un altro movimento che si chiama “We Say Enough”, cioè "diciamo basta"... Allora, tutti questi gruppi che vogliono la pace si sentono colpevoli per quello che succede a Gaza, perché hanno visto la distruzione, la morte di tanti innocenti e dicono che quello che fa lo Stato di Israele è una perdita morale per lo spirito del giudaismo, nel senso che se si vuole veramente attenersi alla morale della religione ebraica, si deve fare giustizia e risolvere questo conflitto e mettere fine a questa occupazione.








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