2014-08-24 14:47:00

Afghanistan: prosegue l'impegno delle forze di pace italiane


In Afghanistan la situazione resta difficile e periodicamente tornano attentati. Ma ad Herat, la zona controllata dalle forze di pace italiane, la Brigata Sassari lascia il comando alla Brigata Garibaldi registrando progressi nella vita sociale della popolazione. Ce ne parla, nell'intervista di Luca Collodi, l’ammiraglio di Squadra, Donato Marzano, Capo Ufficio Generale del Capo di Stato Maggiore della Difesa, che si sofferma sui progressi nella vita sociale della popolazione afghana:

R. - Diciamo che le :prospettive sono decisamente incoraggianti, nel senso che il processo è lungo. Se pensiamo al Libano, a una missione di stabilizzazione che è iniziata 30 anni fa e che è ancora in corso, oppure a quello che sta avvenendo in Kosovo, dove è ancora presente una forza Nato di stabilizzazione, è chiaro che il processo è molto lungo. Una volta, infatti, che sono state addestrate le forze di sicurezza - ed è il caso che è successo in Afghanistan sia per le forze armate che per le forze di polizia, sono quasi 340 mila uomini e donne che sono state addestrate dalle forze della coalizione - è chiaro che poi, oltre alle condizioni di sicurezza classiche, vanno curate tutta una serie di attività - il cosiddetto “comprehensive approach” - per tutti gli aspetti del sistema Paese: ovvero sia l’istruzione, una stabilizzazione politica, una partenza strutturale, l’economia… Si tratta di un processo completo che non può vedere solo i militari in prima linea ma è tutto il sistema Paese che deve essere curato. Questo è un processo molto lungo che non si concluderà sicuramente il 31 dicembre.

D. - Nell’ambito della missione internazionale di pace, quale è stato il ruolo della forza di pace italiana?

R. - L’Italia è stata presente già dall’inizio, da quando è partita l’operazione, sia a Kabul e poi a Herat. Siamo a Herat, quindi tutta la regione ovest, e dal 2005 si alterna un generale italiano ogni sei mesi, proprio per il controllo di tutta l’area. La regione Ovest è una regione che, tra l’altro, è tra le più sicure nell’ambito dell’intero Afghanistan. Faccio un esempio per dire il livello di stabilità e di sicurezza, perché nessuna attività può essere condotta se non c’è sicurezza: il mercato rispetto al 2006, 2007, le attività di mercato, quindi anche le attività industriali, sono cresciute enormemente. Quindi già questo dà un indice sul fatto che si stia stabilizzando la situazione. Volevo dare qualche esempio: l’istruzione è più che raddoppiata in termini di bambini che si avviano al processo educativo arrivando al diploma. Oltre 175 mila insegnanti sono stati formati. Gli analfabeti si sono ridotti più della metà: oltre 250 mila persone adulte sono state alfabetizzate in questo periodo. Per quanto riguarda la Sanità si è passati dal 9 per cento di personale assistito a oltre il 60-70 per cento attuale. Quindi, è un processo lungo ma che sta andando nella giusta direzione. Faccio un esempio per riportare la cosa alle attività concrete: il 71 per cento della popolazione possiede un cellulare, oltre il 60 per cento degli afghani ha un televisore. Ci sono più di 75 canali televisivi e sappiamo che l’informazione è fondamentale per un processo democratico di stabilizzazione del Paese.

D. – Quindi un successo anche per la struttura democratica del Paese?

R. – Sì, assolutamente. È chiaro che la sola attività militare non è più assolutamente sufficiente, anzi forse non lo è mai stata. Quindi, è un approccio onnicomprensivo interagenzie, interministeriale, che deve essere portato avanti. Le istituzioni afghane si devono rafforzare a livello centrale e a livello locale e deve ripartire l’economia. Ci sono ottimi risultati ma non si può dire che non sia conclusa la nostra partecipazione: intendo la partecipazione dei Paesi della coalizione in generale, non solo per gli aspetti militari.








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