2014-08-16 14:55:00

Card. Filoni, i bambini yazidi ci dicono: "Cosa fate per noi?"


Il cardinale Fernando Filoni, inviato personale del Papa in Iraq, prosegue la sua missione tra i rifugiati nel Kurdistan. Il porporato ieri aveva portato gli aiuti del Pontefice a una comunità yazida: oggi ha avuto un altro toccante incontro con i membri di questo gruppo religioso. Ma ascoltiamo la testimonianza del cardinale Filoni al microfono di Sergio Centofanti:

R.. - Questa mattina a Duhok ho incontrato il governatore di questa regione: abbiamo ampiamente parlato della situazione dei rifugiati e abbiamo anche appreso di quanto il governo locale stia facendo in favore dei vari gruppi. Da parte sua, naturalmente, c’è un impegno molto generoso, anche se certo la regione non ha i mezzi sufficienti per sopportare a lungo la situazione che si è venuta a creare: quasi si è raddoppiata la popolazione, rispetto a quella precedente. Dunque, anche lui chiede che aiuti giungano il più presto possibile, soprattutto riguardo ai generi di prima necessità. Siamo poi andati a visitare con gli altri vescovi, il patriarca caldeo e il nunzio, i vari insediamenti per i rifugiati e abbiamo fatto una visita a Manghes, che è un villaggio dove c’è un buon numero di cattolici caldei e dove ho potuto vedere la situazione e parlare con gli ospiti di questo centro parrocchiale, nel quale numerose famiglie sono ospitate: si tratta di persone che sono fuggite da Qaraqosh, da Bakhdida e da altri villaggi della Piana di Ninive. C’è fiducia che la Chiesa non li abbandonerà, ma anche loro si appellano affinché il loro grido non venga a livello internazionale dimenticato. Poi, lì vicino, in una scuola messa a disposizione dal comune, siamo andati a visitare i rifugiati degli yazidi. Qui ho trovato una situazione molto, molto drammatica: non tanto dal punto di vista logistico, quanto da un punto di vista psicologico e morale. Ho visto soprattutto donne e tantissimi bambini e pochi anziani… Nel parlarmi, questi anziani piangevano perché non vedono più futuro per la loro terra, la loro cultura, la loro tradizione e continuamente ci domandavano: “Che male abbiamo fatto per essere uccisi?”. Le donne erano in una situazione passiva: tra l’emozione, il piano e l’incapacità di avere una reazione, stordite dal dolore e dalla sofferenza. I bambini, naturalmente tantissimi, che ci circondavano, ci guardavano con quegli occhi grandi, quasi a chiederci: “Che costa state facendo per noi?”. Una situazione commovente, una situazione di grande sofferenza, credo condivisa da tutti. Il fatto che abbia assicurato che il Papa e la Chiesa cattolica li difende, che parla per loro e che loro abbiano voce attraverso di noi, li ha un po’ rincuorati. E poi continuano a giungere ancora notizie di uccisioni: si parla di 100 uomini che sono stati uccisi, la notizia è arrivata questa mattina… Stiamo cercando di approfondirla meglio. Si parla di situazioni disperate in alcuni villaggi, perché  la gente non è riuscita a fuggire.

D. - L’Unione Europea si sta muovendo per aiutare, in particolare, i curdi ad affrontare l’offensiva jihadista, l’Onu ha votato una Risoluzione, oggi sono arrivati ad Erbil i primi aiuti italiani. I rifugiati vedono che, piano piano, il mondo si sta muovendo per loro?

R. - Hanno ancora una percezione relativa. Queste notizie sono ancora notizie - come dire – mediatiche. La raccomandazione che tutti ci fanno è: “Fate in fretta! Non lasciate morire la speranza!”. Capiscono che quanto più passa il tempo, più in loro viene meno la speranza di ritornare ad una vita dignitosa e normale. Loro dicono che bisogna fare una cintura internazionale di protezione attorno a questi villaggi e dicono: “Fate presto!”. E’ chiaro che quindi c’è un livello immediato di intervento, ma c’è anche un livello in cui bisogna in tutti i modi e a tutti i costi  che le Nazioni Unite, l’Unione Europea non soltanto si preoccupino di questo, ma si preoccupino anche di creare condizioni fattibili per il ritorno alla vita normale.

D. - A suo avviso, la Comunità internazionale cosa può fare di altro, che non sta facendo?

R. - Quello che mi sento di dire è un appello: “Fate presto!”. Vedo che la gente soffre e avrebbe bisogno di sentire anche una parola urgente da parte della Comunità internazionale in loro favore. Sono stati dimenticati un po’ troppo a lungo!








All the contents on this site are copyrighted ©.