2014-08-13 13:42:00

Ebola. Anche il Canada offre vaccino sperimentale


L’Ebola non si arresta: l’ultimo bilancio parla di 1.013 decessi e di 1.848 casi censiti nei quattro Paesi – Liberia, Sierra Leone, Guinea e Nigeria – colpiti dal virus. Tra gli ultimi decessi, si ricorda quello di ieri del missionario spagnolo, Miguel Pajares, rimpatriato giovedì scorso, e quello di Jatto Asihu Abdulqudir, 36 anni, membro della Comunità economica degli stati dell’Africa Occidentale, l’Ecowas, che era stato in contatto con un liberiano contagiato. Salgono, quindi, a tre i morti in Nigeria, sui dieci casi confermati dal Ministero della sanità.

Ieri, il segretario delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, ha nominato il medico britannico, David Nabarro, coordinatore dell’Onu per l’Ebola, affermando di evitare il panico e la paura". Un segnale forte per contrastare l’epidemia viene dal “via libera” della commissione di esperti dell’Oms al siero sperimentale: "Nelle particolari circostanze di questa epidemia e purchè siano soddisfatte determinate condizioni, il panel è giunto al consenso che è etico offrire interventi non ancora testati, come potenziale trattamento o a titolo di prevenzione". Oggi, inoltre, le autorità sanitarie canadesi hanno fatto sapere che doneranno tra le 800 e le 1.000 dosi di vaccino sperimentale all’Oms.

In questo quadro si aggiunge, però, l’annuncio da parte della società americana che produce il siero "ZMapp", quello somministrato anche ai due missionari statunitensi in corso di guarigione, di aver spedito tutte le dosi disponibili in Africa. In attesa dei farmaci, ha sottolineato Margaret Chen, direttore generale dell’Oms, bisogna lavorare sulle misure di prevenzione. Antonella Palermo ha chiesto un’analisi del virus al prof. Aldo Morrone, primario di Medicina delle Migrazioni dell'IFO San Gallicano di Roma, chiedendo anche quali possano essere i rischi per l’Europa:

R. – C’è un paradosso: il virus Ebola è un virus che viene ucciso. Bastano acqua e sapone, basta la candeggina. Però, quando penetra nell’organismo di alcuni soggetti debilitati, si riattiva in una maniera straordinaria, diventa estremamente letale. E questo succede, purtroppo, perchè si viene a contatto con i liquidi biologici della persona malata, quindi con le urine, con le feci o con il sangue. Questa è una cosa assolutamente da evitare. D’altra parte, i tre Paesi che in questo momento sono stati colpiti dall’epidemia – non cito adesso la Nigeria, ma Liberia, Guinea e Sierra Leone – sono stati travagliati da una guerra civile, da un taglio drammatico delle risorse sanitarie, delle risorse sociali e delle istruzioni. Ecco perché il virus Ebola è un virus tipico della povertà dell’Africa. Non è stato mai segnalato in Europa, negli Stati Uniti e in Giappone. Quindi, è un problema di coscienza di ricerca scientifica, da parte dell’Occidente, investire risorse perché lì venga eliminato.

D. – Il Comitato di esperti di etica medica, riunito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, si è detto favorevole al ricorso di trattamenti non ancora omologati contro l’epidemia di ebola…

R. – Devo dire che questo è doveroso, ogni volta che c’è una situazione drammatica. Certo, rimango sempre più stupito, lavorando in Africa da 30 anni, che ancora si intervenga poco nella ricerca scientifica di vaccini, di sieri, di terapie, per quelle che vengono chiamate le “neglected tropical deseases”, cioè le malattie dimenticate che però si diffondono e non solo in Africa ma in altre regioni povere del mondo e che ormai colpiscono oltre due miliardi di persone. Sarebbe ora che l’industria farmaceutica, che i governi dell’Occidente investissero più risorse per malattie che colpiscono fondamentalmente persone povere.

D. - Come si estirperà questo virus in questi tre Paesi che sono epicentro dell’epidemia?

R. – Primo, c’è un intervento immediato, che viene chiamato emergenziale, che è quello di bloccare i movimenti in quei tre Paesi, investendo però in servizi sanitari. Secondo, che si arrivi a uno studio maggiore sulle forme di diffusione del virus. Il virus probabilmente è dovuto al salto di specie dalle scimmie e dai pipistrelli, che vengono mangiati in quell’area del mondo. Terzo, che ci sia un impegno internazionale perché anche negli altri Paesi – dal Gabon alla Repubblica democratica del Congo – ci sia un impegno a estirpare il virus, soprattutto creando servizi sanitari per tutti. C’è bisogno di un investimento serio e non ipocrita, come spesso accade a noi occidentali, duraturo nel tempo e non soltanto di fronte ad un’epidemia.

D. – L’allarme a livello internazionale è stato lanciato dall’Organizzazione mondiale della sanità. Quanto ci dobbiamo preoccupare?

R. – Le possibilità che il virus arrivi in Europa sono assai scarse e dal punto di vista che il virus arrivi con gli immigrati sono assolutamente nulle. Ciò non toglie che giustamente l’Oms si preoccupi che in queste aree del mondo l’epidemia sia circoscritta e sia bloccata. La precauzione è fondamentalmente una: evitare i liquidi della persona malata, i liquidi biologici - sangue, urine, feci e sperma. Questo vuol dire sostanzialmente che può essere toccato soltanto con guanti, tute, mascherine. Tutto ciò che, tra l’altro, stiamo facendo sulle nostre navi dell’operazione “Mare Nostrum”. I tempi di incubazione della malattia sono talmente rapidi, dai 2 ai 10 giorni, che dal momento in cui il virus viene trasmesso al momento in cui abbiamo i sintomi - febbre molto elevata, tracce di sangue sulla pelle ed emorragie - è difficile che una persona che abbia questi sintomi possa fare viaggi di settimane o mesi, come accade per i migranti. È molto più facile possa accadere attraverso un aereo rapido, come quello che probabilmente è arrivato in Nigeria con una persona malata e che poi è deceduto forse a causa del virus Ebola.








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