2014-08-04 14:30:00

Irlanda. Mons. Martin: la guerra è un viaggio che non finisce


“La guerra è un viaggio lungo una strada a senso unico, una volta iniziato è quasi inevitabile un’ulteriore spinta per il suo perpetuarsi”. Queste le parole pronunciate nell’omelia di questa domenica da mons. Diarmuid Martin, arcivescovo di Dublino, in occasione della commemorazione dei 100 anni dallo scoppio della prima guerra mondiale.

Mons. Martin ha aperto l’omelia nel ricordo di padre Francis Gleeson, cappellano della Second Royal Munster Fusilier, il corpo dei fucilieri irlandesi, che ha raccontato gli orrori della guerra in un diario, ora custodito negli archivi diocesani di Dublino. L’opera, ha spiegato il presule, è oggi uno straordinario documento che “cattura in modo unico il coraggio dei soldati e gli orrori della guerra”.                         

Mons. Martin ha invitato poi i fedeli a ricordare i milioni di giovani morti durante quei lunghi quattro anni di conflitto e a commemorare “l’idealismo, il valore e il coraggio di coloro che hanno servito in guerra”. “Ricordiamo, in particolare – ha aggiunto - le migliaia di giovani irlandesi che hanno combattuto e coloro che sono caduti seguendo un ideale”. L’arcivescovo di Dublino ha poi delineato le conseguenze della Grande Guerra che “ha portato ad una nuova industrializzazione delle armi e che ha costantemente bisogno di essere rifornita, generando una sorta di fascinazione e glorificazione della guerra in cui i giovani si sono fatti avanti per qualcosa che sembrava una sfida e che, invece, si è trasformato in  un orrendo trauma e in una carneficina”. Infatti, ha sottolineato ancora mons. Martin, “la guerra non termina con il cessate il fuoco, le ferite rimangono nel corpo, nei cuori dei soldati e nei rapporti tra popoli e tra Stati. La guerra danneggia quell’armonia tra le persone e con la natura che Dio ha originariamente creato”.

Guardando, inoltre, all’attuale conflitto che infiamma oggi il Medio Oriente, il presule irlandese ha ribadito che “il mese di luglio è stato il più sanguinoso degli ultimi anni, vediamo la carneficina soprattutto tra i civili” ed ha sottolineato che “ogni razzo lanciato da entrambe le parti e in qualunque conflitto è stato disegnato e costruito, venduto per profitto ed acquistato per rispondere ad interessi di persone che vivono lontane dai luoghi delle carneficine”.

Infine, mons. Martin ha sottolineato che il diario di padre Gleeson mostrava come “la fede aiutasse i soldati non solo ad affrontare gli orrori della guerra, ma desse loro anche la speranza che avrebbero contribuito a costruire una società diversa in cui le nazioni e i popoli avrebbero imparato a parlare il linguaggio della speranza e della pace”. “In un mondo travagliato – ha concluso il presule - dobbiamo mantenere vivo quell’ideale di pace, lo dobbiamo alla loro memoria”, perché “ogni cristiano è chiamato a portare la pace, a costruirla e a restaurarla in un mondo lacerato”. (C.G.)








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