2014-08-01 14:20:00

Libia: a Bengasi i jihadisti proclamano un emirato islamico


Anche la Libia è scossa dai combattimenti delle milizie islamiche. 214 morti e 981 feriti il bilancio delle vittime degli scontri nelle ultime settimane. Anche l’ambasciatore britannico ha lasciato il Paese, mentre prosegue la fuga dei civili: l’Egitto ha chiuso le frontiere, la Tunisia temporaneamente il valico di Ras Jedir. Intanto a Bengasi circa 2 mila persone sono scese in strada, contro le milizie che hanno proclamato l’emirato islamico in città. Davide Maggiore ha chiesto il significato di questo annuncio ad Antonio Morone, docente di storia dell’Africa all’Università degli Studi di Pavia:

 

R. - Sicuramente la dichiarazione fatta da Ansar al-Sharia ai media arabi riflette, in realtà, sul campo una fase di forte cambio negli equilibri della lotta in corso tra forze laiche e forze islamiste. Quindi la proclamazione ha, prima di tutto, l’obiettivo di dimostrare al mondo la forza di Ansar al-Sharia in Libia e sicuramente però di mettersi in connessione anche con quello che sta succedendo in Iraq: proprio perché Ansar al-Sharia è una forza a tutti gli effetti libica, che però ha fortissimi collegamenti col mondo della rete internazionale dell’estremismo islamico. Quindi tende - come dire - ad ingigantire quelle che sono in realtà le posizioni reali sul campo, proiettando un’immagine molto probabilmente più di forza di quella che in realtà si può intravedere.

D. - Chi sono questi ribelli: non solo di Ansar al-Sharia ma anche gli appartenenti al Consiglio dei rivoluzionari che agiscono - anch’essi - a Bengasi?

R. - Bisogna ricordare che, in effetti, il Califfato islamico venne proclamato anche all’indomani della caduta del regime di Gheddafi e quindi sostanzialmente è un tema ricorrente: un più ampio movimento di richiesta di autonomia della parte orientale della Libia e sicuramente su questo tema c’è una ampia convergenza, per molti versi anche impropria, tra quelle che sono realmente le frange più estremiste e, invece, una parte molto più moderata - come appunto il Consiglio - che pur di riuscire ad ottenere una maggiore autonomia da Tripoli è disposta a convergere sulle posizioni di Ansar al-Sharia.

D. - Qual è il collegamento tra ciò che sta accadendo a Bengasi e, invece, i fatti e gli scontri di Tripoli? Qual è la posta in gioco di questi scontri?

R. - Non è un qualcosa di irrazionale, illogico o difficile da comprendere. In realtà sono obiettivi molto concreti: sicuramente lo sfruttamento della rendita petrolifera che rimane la grande risorsa della Libia e poi ovviamente le posizioni di potere all’interno del governo di Tripoli e, viceversa, le eventuali posizioni di autonomia nelle diverse sedi regionali. Allora in questa partita diventa ovviamente molto importante l’impostazione, il modello di riferimento delle nuove istituzioni. Gli attori - tutto sommato - non sono così tanti come possono sembrare: c’è sostanzialmente un fronte più laico, moderato, come riferimento più prossimo all’Occidente e un fronte, invece, molto più estremista che propone un modello di islam politico, anche se declinato ovviamente in diverse forme a seconda di quelli che sono i momenti e anche le frange degli schieramenti. Va detto, però, che su questi due fronti c’è poi tutta una maggiore composizione tra l’est e l’ovest del Paese: c’è una alleanza impropria tra il generale Haftar, che da mesi sta tentando di contrastare Ansar al-Sharia in Cerenaica, e le forze di Zintan a Tripoli; viceversa le forze di Bengasi di Ansar al-Sharia - in effetti -  si stanno coordinando con quelle che invece sono le milizie islamiste di Misurata, che però  non sono esattamente la stessa cosa di quelle di Bengasi.








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