2014-07-29 10:05:00

Ascolto e aiuto concreto per i separati: la testimonianza di uno di loro


“Quella dei padri separati è una delle fasce sociali più colpite dalla nuova povertà”: lo afferma Mario Sedia, vicedirettore di Caritas Palermo presentando un nuovo progetto dedicato a quanti si trovano in emergenza abitativa a seguito della separazione coniugale. Prevede 15 posti letto, ma anche sostegno e accompagnamento individuale.  Nelle diocesi italiane cresce l’attenzione verso i separati. E c’è chi, vivendo questo stato, si mette a servizio degli altri. Come Paolo Ricci, che vive in Umbria e che la separazione l’ha subita, vivendo perciò un dolore ancora più difficile da accettare. Il suo impegno si realizza nell’ambito di “Famiglie Nuove” del Movimento dei Focolari e attraverso il blog “in-separabili.blogspot.it”. Adriana Masotti lo ha intervistato:

R. – Ma, io direi intanto di avere risolto un dolore così grande in Dio, nel ritrovare il rapporto con Lui che avevo un tempo. Tutto il resto è venuto da solo, è stato naturale. All’inizio, per tanto tempo, ho cercato di contrastare questa separazione, finché un giorno la mia sposa mi ha urlato: “Dio lascia liberi e tu no!” Ecco mi stava chiedendo di amarla con l’amore di Dio. Lì iniziò tutto, nel rendermi conto che dovevo vivere questa volontà di mia moglie, seppur per me follia, seppure non condividendola, come volontà di Dio. E quindi il mio continuare a stare dentro il mio matrimonio aveva un senso se lo mettevo a disposizione di “Famiglie Nuove”, ma della Chiesa soprattutto e dell’umanità. Veniva fuori la mia strada che certo non era la mia volontà.

D. – Da qui sono nati poi incontri con coppie, partecipazioni a convegni e anche “in-separabili.blogspot.it”, che è diventato punto di riferimento per tanti – uomini e donne – in crisi coniugale o già separati. Che cosa chiedono queste persone e che tipo di aiuto lei può dare loro?

R. – Il mio aiuto è molto semplice: è quello che nasce dal mio vivere. A volte è richiesto ascolto, a volte consigli, ma quello che vedo importante è sempre la condivisione totale dei problemi, perché vedo che a volte tanti sposati, pur impegnandosi in buona fede, fanno difficoltà a capire fino in fondo la vita di un separato. Quello che scrivo sul blog è semplicemente quello che vivo. Credo che questo sia importante: chiamare le cose con il loro nome; dire le cose vere.

D. – Lei ha scelto di non avere altre relazioni, dopo la separazione, o un secondo matrimonio, perché crede fino in fondo a quel “sì, per sempre” pronunciato al momento delle nozze. Vuol dirci qualcosa di più di questa scelta?

R. – Nel giorno del mio matrimonio – ormai sono 33 anni – avevo con me un amico che stava in carrozzella da 11 anni per un incidente stradale. Ci fu un momento forte, durante la cerimonia, perché guardandolo, io mi chiesi: “Se lei, questa creatura che sto sposando, domani ha un incidente e rimane in carrozzella tutta la vita, cosa faccio?” Ecco, io lì dissi il mio sì a Dio, anche nella malattia, anche nel dolore, perché nel rito del matrimonio lo sappiamo si dice: “nella gioia, nel dolore, nella salute e nella malattia”, ma poi tutti siamo portati a pensare solo alla gioia e alla salute. Io credo, quindi, di stare facendo semplicemente la cosa che avevo in qualche modo promesso. 

D. – Questa scelta quanto viene capita? Ed è capitato che la sua testimonianza abbia fatto maturare una decisione simile ad altri separati?

R. – Beh, io ho avuto i più grandi oppositori in famiglia, i miei tre figli, che per anni hanno insistito in tutti i modi per farmi trovare un’altra donna. Ma se io oggi avessi un’altra sarebbe come sancire la morte del mio matrimonio… Certo è dura, perché è dura! Debbo dire, comunque, che non sono un caso raro, tanti vivono così e non se ne parla. Con queste persone ci aiutiamo, andiamo avanti.

D. – Le comunità cristiane, la Chiesa sente che deve farsi più vicina e più sensibile riguardo ai problemi dei separati e dei divorziati e nascono tante iniziative. Se dovesse dare un consiglio?

R. – Il consiglio è di stare vicini, di aiutare soprattutto economicamente, perché serve condividere, condividere il dolore, ma a volte serve anche trovare una casa, aiutare quando si hanno i figli. Penso che la comunità cristiana possa fare molto.








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