2014-07-26 14:46:00

Caserta. Un parroco: Francesco ci insegna la fede dei fatti


Sono passate circa due settimane dalla tensione che ha sconvolto Pescopagano, frazione di Castel Volturno, nel casertano, dove immigrati e abitanti si sono fronteggiati in una vera e propria guerriglia, che ha portato al ferimento di due ivoriani e all’arresto di due italiani. Uno dei tanti episodi di conflitto sociale che dilania la terra che sta per accogliere Papa Francesco, dove il delicato equilibrio tra italiani e migranti è messo a dura prova dalla camorra, dalla povertà, dal degrado, dallo sfruttamento. Don Guido Cumerlato è parroco a Pescopagano e missionario dell’opera Piccola Casetta di Nazareth. E’ abituato a dividere la sua vita con gli abitanti, italiani e non, di questa zona. Lui li conosce bene e per questo non vuole parlare di razzismo, al contrario, ci dice, è molto importante spiegare allo straniero che ha i suoi diritti, ma ricordargli anche che ha i suoi doveri. E don Guido ora inizia a sperare in una futura ripresa. Francesca Sabatinelli lo ha intervistato:

D. – Si respira calma, però una calma che attende risposte concrete. Calma nel senso che non si sono più ripetuti quegli episodi accaduti il 13 e 14 di questo mese, però il paese aspetta risposte. Si è già visto un segno evidente per la presenza particolare delle Forze dell’ordine, per la presenza dei sindaci coinvolti, quello di Castel Volturno e quello di Mondragone, ora si attende la continuità e un programma d’azione.

R. - Un programma d’azione in quella zona richiede molta energia e un ampio intervento. Lei stesso più di una volta ha denunciato il gravissimo degrado di tutta l’area…

D. – Sì, perché i problemi sono collaterali, o meglio c’è un groviglio di problemi. Quello che i mass media hanno messo in luce è stata la questione della presenza dello straniero che, come povero, esige un riconoscimento della sua identità, quindi non soffermiamoci su ciò che hanno fatto, che è grave, però la loro voce dice al mondo intero: riconosceteci come tali, abbiamo desiderio di vivere una vita tranquilla. Sotto però ci sono altri problemi del territorio. Noi siamo a Caserta, si sa che è una terra provata, in tutti i sensi, per la presenza di criminalità, per il degrado, per i problemi del lavoro, e il territorio di Pescopagano ha un’esigenza specifica: quella del riconoscimento dell’identità dei residenti, perché è una terra che è ancora priva di fogne, di luce, e di strade. Tengo a precisare però che il problema sta arrivando alla soluzione, ci sono i progetti a livello regionale e provinciale che mirerebbero alla riqualificazione dell’ambiente.

R. – Quanta rabbia c’è, quanto antagonismo, in questo momento tra le due parti, detto in modo brutale: tra bianchi e neri?

D. – Rabbia non c’è. A Pescopagano vi assicuro – in quanto è da 12 anni che sono parroco e missionario – rabbia non c’è perché la vita comune tra straniero e italiano, tra residente e non residente, è familiare. Voi potete vedere con molta semplicità africani e italiani lavorare insieme, condividere lo stesso piatto, vivere nella stessa casa. Quindi, dire che ci sia contesa e rabbia, questo no. C’è magari un po’ di stanchezza, di sfiducia, di delusione, questo sì.

R. – Quindi, non è certo l’integrazione quella che manca. Il problema è la povertà?

D. – Infatti, i giornali hanno un po’ esagerato. Qui viviamo in una sorta di guerra tra poveri, che chiede voce, chiede comprensione. Ovviamente, io mi riferisco al territorio di mia competenza. Se ci si allunga un po’ oltre, verso Castel Volturno, lì ci sono ancora guerre tra bande, rivalità, interessi diversi e allora entriamo in un giro più vasto. E può nascere allora contesa nel momento in cui non ci si comporta correttamente, si ruba, e via dicendo.

D. – Le persone che vivono senza fogne, dove non c’è lavoro e vige la legge della criminalità, quali speranze hanno? Come vivono i giovani?

R. – I giovani emigrano, la maggior parte emigra, va fuori. Il fazzoletto a me affidato è quanto mai piccolo… Faccio solo una precisazione: a livello di anime ho soltanto 800 persone, il fazzoletto è piccolo, ma posto in una zona territoriale così particolare che siamo in zona di frontiera, di passaggio, e quindi zona che richiede un’attenzione particolare. Alcuni giovani scelgono la microdelinquenza, ma ho visto che in virtù della presenza delle istituzioni, delle Forze dell’ordine, la cosa sta calando e mi auguro che questo porti a un risveglio in senso positivo.

D. – In questa realtà sta arrivando Papa Francesco…

R. – Eh sì. E’ una luce di speranza, una luce di speranza molto chiara, fraterna e concreta. Perché qui, in queste terre, c’è bisogno di una fede concreta più che parlata, che agisca, che si faccia vicina a coloro che chiedono una mano. Mi auguro che tutto ciò che si è mosso a seguito del grave episodio dei giorni scorsi, evolva al positivo. Più volte mi sono fatto voce di coloro che non avevano voce a riguardo per una ripresa del territorio. Il desiderio è solo questo: il bene di quella terra, perché pur essendo martoriata e luogo di povertà è ricchissima di risorse ma anche di persone che credono, desiderano e vogliono il bene.

Una delle Associazioni da sempre in prima linea nella formazione e sensibilizzazione alla legalità in Italia è “Libera, associazioni nomi e numeri contro le mafie”, fondata da don Luigi Ciotti. Radicata è la sua presenza e la sua attività anche in Campania, come racconta Gianni Solino, coordinatore a Caserta di “Libera”, intervistato dalla nostra inviata, Francesca Sabatinelli:

R. – Noi abbiamo avuto almeno 20 anni di lotta serrata alla camorra, con un reticolo di associazioni che poi vede in Libera, in questi ultimi anni, una sorta di catalizzatore, un punto di riferimento, che ha portato a utilizzare i beni confiscati. Caserta è una delle esperienze più avanzate in questa vicenda dei beni confiscati e dell’uso sociale, che ha portato a sostenere con forza l’azione energica dello Stato negli ultimi anni e che ha smantellato quasi del tutto i clan, cioè l’apparato militare del clan dei Casalesi quasi non esiste più. Questo non significa che la guerra sia finita, tutt’altro: significa che bisogna andare fino in fondo. Però, possiamo essere soddisfatti di questo impegno, possiamo essere fiduciosi per il futuro. Ovviamente, questo significa andare avanti sulla strada tracciata a partire dall’uso dei beni confiscati, perché è una lotta che non ha soste. Se tu vai avanti, loro vanno indietro. Diversamente, tu stai fermo o indietreggi? Sono loro che vengono avanti…

D. – La coscienza civile in questi anni è aumentata, è migliorata, è progredita?

R. – Sicuramente tantissimo, perché – faccio un esempio – i primi anni, quando si arrestava un latitante, eravamo si è no quattro gatti di noi ad esultare. Lo spettacolo di quando è stato arrestato Jovine oppure Zagarìa è stato uno spettacolo straordinario, con centinaia di persone che abitavano lì vicino, che applaudivano! Poi, certo, ci sono quelli che dicevano che la camorra dà lavoro, che la camorra tutto sommato era un fattore economico… Ma rispetto al passato il cambiamento è così evidente, è palpabile. Ed è ovvio anche questo, perché mano a mano che lo Stato ha inferto colpi sempre più forti e l’apparato militare viene smantellato, la gente è più libera: può parlare. Perché qui l’oppressione è stata davvero totale negli anni Settanta, Ottanta, Novanta… Insomma, c’è stata proprio una dittatura militare, come la definiva il nostro don Peppino Diana.

D. – Tu sei di Casal di Principe dove è nato e morto don Peppino Diana?

R. – Sì. Su don Peppino voglio dire solo una cosa: quest’anno è stato il ventesimo anniversario della sua uccisione, abbiamo fatto una settimana – anche un mese – di celebrazioni bellissime. I primi anni sono stati difficili. Anche la Chiesa locale soprattutto stentava a riconoscere e a rivendicare con orgoglio, come avrebbe dovuto fare, quel proprio figlio. Piuttosto, invece, era molto più cauta. Adesso, invece, anche qui è un segno del cambiamento, no? La Chiesa, Francesco che scomunica i clan… Vedo più coralità e credo che solo così potremo venire a capo di questo problema delle mafie che ormai ci portiamo dietro da secoli, nel nostro Paese.

D. – Tra pochissime ore arriverà il Papa. Qui, a Caserta c’è tantissima attesa. A Casal di Principe che cosa si dice?

R. – Questo Papa è visto davvero come uno che su queste tematiche della legalità e della lotta alle mafie, su queste nuove tematiche, è uno che dal primo momento ha compreso che cosa significa e come possono essere strumenti di devastazione non soltanto dei territori ma delle coscienze. E quindi, intervenire come Chiesa per richiamare queste cose, io credo che Francesco questo l’abbia capito subito e lo stia indicando a tutta la Chiesa, a tutti i cittadini, a tutti i fedeli. E Casal di Principe ammira molto questo: lo sappiamo, lo possiamo dire a viva voce.








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