2014-07-22 14:08:00

Matera. Mostra sui 50 anni del "Vangelo secondo Matteo"


Il mondo del cinema ricorda quest’anno i 50 anni dall’uscita in Italia de “Il Vangelo secondo Matteo”, capolavoro di Pier Paolo Pasolini che narra la vita Gesù. La città di Matera – tra i cui celebri “Sassi” il regista ambientò le sue scene – ha inaugurato ieri una mostra celebrativa, curata da Marta Ragozzino, che descrive la genesi dell’opera pasoliniana. Uno dei collaboratori della Mostra, Ermanno Taviani, docente di Storia contemporanea all’Università di Catania, riflette sulla figura del regista e sulla sorpresa che il suo film generò all’uscita nelle sale. L'intervista è di Mara Miceli:

R. – Quello che colpisce è la sua capacità di rovesciare anche l’immagine di sé attraverso le sue opere. Dopo la “Ricotta” – per cui viene condannato in primo grado a un anno di reclusione per vilipendio della religione – tutti si aspettavano uno scandalo dal “Vangelo secondo Matteo”, dal regista che era dichiaratamente ateo, marxista, omosessuale. Invece, fa un film che piace enormemente a una parte del mondo cattolico, anche quello un mondo in una fase importante, di transizione, con il Concilio Vaticano II e Papa Giovanni, ancora vivo quando viene progettato il film, che muore nel corso della sua realizzazione e a cui è dedicato. Quindi, in quel senso, è molto bella la testimonianza di padre Fantuzzi – critico per un trentennio della Civiltà Cattolica – che dice di essere andato a vedere il film molto prevenuto perché Pasolini a Venezia disse: “Ho fatto un film dove c’è la Resurrezione ma io non ci credo. Penso che Cristo sia stato solo un uomo e non il Figlio di Dio”. Lui resta così sconvolto da questo film per la bellezza, la fedeltà anche al testo evangelico, che va a trovare Pasolini e diventa poi un suo grande amico per il resto degli anni.

D. – Qual è il preconcetto cucito addosso a Pasolini più difficile da scardinare ma anche il più insidioso?

R. – Sono tanti e anche tante le leggende. Forse, il preconcetto è quello di un’artista che voleva essere a tutti i costi provocatorio. Sicuramente lo voleva essere, ma sicuramente Pasolini voleva anche essere un poeta e nel far questo teneva un registro poetico sia nel fare i film, sia nello scrivere poesie o romanzi. Però, voleva raccontare storie: voleva esprimere un mondo interiore, un suo universo che era estremamente sfaccettato e complesso e lo testimonia appunto la sua produzione ma anche il suo archivio in cui si vede questo suo carattere onnivoro delle conoscenze e delle letture. In questo senso, alla fine Pasolini si trovava a suo agio con alcuni intellettuali suoi amici ma non tantissimi e con – notoriamente li mise nei suoi film – le persone del popolo.

D. – Uno dei momenti di questa pellicola che per te è tra i più geniali e profetici?

R. – A me piace molto la parte in cui Gesù sceglie gli Apostoli: quando li chiama, corrono sulla spiaggia… La trovo molto più astratta rispetto al realismo del film e molto poetica. Devo dire che, come lettore laico del Vangelo – anche se cinematograficamente non è la sequenza migliore – la parte sul discorso della montagna continua a colpire, perché continua a colpire con le parole al di là di qualsiasi considerazione di tipo religioso.








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