2014-07-21 11:10:00

"Campioni d'Italia", storie e difficoltà di atleti immigrati


E’ in libreria il libro “Campioni d’Italia? Le seconde generazioni e lo sport”, scritto da Mohamed Abdalla Tailmoun, Mauro Valeri, Isaac Tesfaye per le edizioni Sinnos. Un volume affronta il tema della cittadinanza attraverso le storie di 100 campioni nati in Italia o arrivati da piccoli nel Paese e costretti a vivere sulla loro pelle molte difficoltà. Benedetta Capelli ne ha parlato con uno degli autori, Isaac Tesfaye:

R. – "Campioni d’Italia" è un libro che racconta la storia di una grande ingiustizia che sta vivendo una parte importante di giovani del nostro Paese, ovvero le seconde generazioni. Parliamo di tutti quei ragazzi figli di immigrati che sono nati in Italia, che hanno frequentato le nostre scuole e che nella maggior parte dei casi non conoscono neanche la lingua dei propri genitori. Eppure, sono costretti a girare con il permesso di soggiorno almeno fino all’età di 18 anni. Poi, per loro si apre una piccola finestra di un anno – che va dai 18 ai 19 anni – che loro devono riuscire a cogliere, altrimenti sarà tutto molto complicato.

D. – Sono esattamente 100 storie di campioni. Ce n'è qualcuna in particolare che vuoi segnalare, che ti ha colpito e che è forse anche emblematica della sofferenza che questi campioni vivono?

R. – Si tratta di atleti che sono più o meno celebri, a partire da un atleta simbolo delle secondo generazioni ovvero Mario Balotelli. Senza dimenticare che Balotelli ha avuto, però, le sue enormi difficoltà, almeno fino all’età di 18 anni. Accanto a un atleta come Balotelli, mettiamo anche tante altre storie. Una particolare è quella del mezzofondista Marco Najibe Salami: nato nel Mantovano, a 18 anni non è riuscito ad avere la cittadinanza per problemi burocratici. Avendo lasciato gli studi per la carriera di atleta, si è trovato costretto a passare l’estate a lavorare in campagna, perché altrimenti sarebbe finito tra gli irregolari. C’è poi una storia incredibile di un canoista, Jirivalske, che arriva in Italia subito dopo la caduta del Muro di Berlino e che per problemi identitari e una cittadinanza che non arriva intraprende un viaggio incredibile in motorino per ritornare nella sua patria – lui veniva dall’ex Cecoslovacchia. Accanto a questi, anche le storie di chi invece la cittadinanza la sta ancora aspettando, come Yasser Rashid, nato a Casablanca negli anni Novanta e in Italia dal 2004: lui è uno dei migliori mezzofondisti che ci sono in Europa e che vengono tentati ogni giorno da Paesi che magari danno il passaporto con maggiore facilità.

D. – Questi ragazzi come raccontano la sofferenza vissuta? In che termini?

R. – Quello che ci dicono è di sentirsi leoni in gabbia, perché tutto questo è paradossale: possono correre e gareggiare, però poi alla fine quando si tratta dei risultati vengono comunque esclusi, perché gareggiano anche nei campionati italiani in quanto stranieri.

D. – Tendenzialmente di quante persone stiamo parlando, almeno per quanto riguarda l’ambito sportivo?

R. – Per quelli che riguardano le seconde generazioni, noi abbiamo in questa situazione oltre 600 mila ragazzi in Italia – nati in Italia da genitori stranieri e senza cittadinanza – almeno secondo l’ultimo censimento fatto dall’Istat. In ambito sportivo, invece, sono sicuramente migliaia… Dal punto di vista delle Federazioni, c’è l’interesse a lavorare caso per caso: abbiamo un fenomeno, ce lo teniamo. Per tutti gli altri, se non trovi una società alle spalle che ti supporta, le famiglie molto spesso non ce la fanno. E’ ovvio che sei poi costretto a lasciare e noi perdiamo un grandissimo bacino di ragazzi potenzialmente validi. Se noi pensiamo anche al discorso che facciamo oggi ad esempio nel calcio, della crisi che c’è stata dopo l’eliminazione dai Mondiali, e ci chiediamo da dove ripartire, un modo importante potrebbe essere proprio quello di aprire alle seconde generazioni e a questi ragazzi. Non dimentichiamoci che la Germania lo ha fatto nel 2000 con una legge che dà la cittadinanza ai ragazzi nati da un genitore che risiede in Germania da almeno otto anni: la Germania, da quel momento in poi, ha avuto una crescita esponenziale negli ultimi anni di presenza di seconde generazioni all’interno della loro nazionale. Non vogliono sentir parlare di naturalizzati! Dirigenti federali, come Oliver Bierhoff, che dicono: “Noi non abbiamo quelli che voi definite gli oriundi, noi abbiamo tedeschi, veri e proprio tedeschi di seconda generazione”.








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