2014-07-09 12:13:00

Medio Oriente: Ordinari di Terra Santa invocano la fine delle violenze


“La violenza genera violenza”, israeliani e palestinesi devono riconoscersi fratelli, “serve un cambiamento radicale”. Sono alcuni dei concetti contenuti in una dichiarazione della Commissione Giustizia e Pace dell’Assemblea degli Ordinari Cattolici di Terra Santa, diffusa ieri. Una nota nella quale si interviene sulle vicende drammatiche di questi giorni. Ce ne parla Benedetta Capelli:

La dichiarazione si apre con le condoglianze degli Ordinari Cattolici di Terra Santa alle famiglie dei tre giovani israeliani e del ragazzo palestinese bruciato vivo. Allo stesso tempo ricordano che, mentre si conoscono i dettagli delle vite di queste ultime vittime, “altri – di gran lunga più numerosi - sono mere statistiche, senza nome e senza volto”. L’auspicio è di mettere fine alle violenze ma non si può nascondere il ricorso costante ad un linguaggio che invoca punizioni collettive e vendetta, impedendo così l’emergere di qualsiasi alternativa. I presuli ricordano che molti politici “versano olio sul fuoco con parole e atti che alimentano il conflitto” senza entrare in un processo di dialogo.

Nel documento si mette in luce il linguaggio violento diffuso per le strade di Israele, “alimentato dagli atteggiamenti e le espressioni di una leadership che continua a portare avanti un discorso discriminatorio che promuove diritti esclusivi di un gruppo e l’occupazione con tutte le disastrose conseguenze”. “Si costruiscono gli insediamenti – si legge ancora – le terre sono confiscate, le famiglie separate, i propri cari vengono arrestati e perfino assassinati”. C’è una leadership che crede dunque che l’occupazione possa essere la strada giusta, anche se questo – rimarcano gli Ordinari di Terra Santa - implica l’annullamento dell’aspirazione di un popolo alla libertà e alla dignità. “Sembrano credere che la loro determinazione sia un mettere a tacere l'opposizione e trasformare un errore in un diritto”.

Allo stesso tempo anche il linguaggio violento diffuso per le strade della Palestina è “alimentato dagli atteggiamenti e da coloro che non nutrono alcuna speranza di arrivare ad una giusta soluzione del conflitto attraverso i negoziati”. “Coloro che cercano di costruire una società totalitaria, monolitica – si legge ancora nella nota - in cui non c'è spazio per alcuna differenza o diversità per ottenere il sostegno popolare, sfruttando questa situazione di disperazione”. “A questi – insistono i presuli - diciamo anche noi: la violenza come risposta alla violenza genera solo altra violenza”.

Ricordando la preghiera di pace per la Terra Santa di Papa Francesco, lo scorso 8 giugno in Vaticano, nella quale si invocava il coraggio per far ripartire il dialogo, gli Ordinari di Terra Santa affermano che non si può strumentalizzare “il rapimento e l’assassinio a sangue freddo dei tre giovani israeliani e la vendetta brutale nei confronti del giovane palestinese”, “per esigere una punizione collettiva contro il popolo palestinese nel suo complesso e contro il suo legittimo desiderio di essere liberi; è un tragico sfruttamento della tragedia e così si promuove più violenza e odio”.

“Allo stesso tempo – aggiungono – dobbiamo riconoscere che la resistenza all’occupazione non può essere equiparata al terrorismo. E’ un legittimo diritto mentre il terrorismo è una parte del problema. La violenza come risposta alla violenza genera ancora più violenza”. Proprio la situazione a Gaza è la rappresentazione di un ciclo di violenza senza fine, dell’assenza di una visione alternativa per il futuro pertanto rompere questo processo è un dovere di tutti: “oppressori e oppressi, vittime e carnefici”. “Tutti devono riconoscere nell'altro un fratello o una sorella – ricordano - piuttosto che riconoscere un nemico da odiare e da eliminare”.

“Serve un cambiamento radicale – insistono gli Ordinari - israeliani e palestinesi insieme hanno bisogno di scrollarsi di dosso gli atteggiamenti negativi di reciproca diffidenza e di odio”. Da qui la necessità di educare le nuove generazioni con uno spirito diverso e di lavorare perché ci siano leader in grado di “operare per la giustizia e la pace, riconoscendo che Dio ha piantato qui tre religioni: Ebraismo, Cristianesimo e Islam, e due popoli: palestinesi e israeliani”. Servono persone in grado di “prendere decisioni difficili”, “pronti a sacrificare la loro carriera politica per il bene e per una pace duratura”. Leader che hanno la vocazione ad essere “operatori di pace”, “persone in cerca di giustizia” e con una visione alternativa alla violenza.

In questo percorso, i leader religiosi hanno un compito: “parlare un linguaggio profetico” che vada oltre il ciclo di odio e di violenza; “un linguaggio nel quale si  rifiuta di attribuire lo status di nemico a qualsiasi figlio di Dio; è un linguaggio che apre la possibilità di vedere ciascuno come fratello o sorella”. “Un linguaggio responsabile in modo che diventi uno strumento per trasformare il mondo da un deserto di tenebre e morte in un giardino rigoglioso di vita”.

Sul difficile momento che si sta vivendo in Medio Oriente e sul documento della Commissione Giustizia e Pace dell’Assemblea degli Ordinari Cattolici di Terra Santa, Tracey McClure ha intervistato padre David Neuhaus, vicario patriarcale per i cattolici di lingua ebraica del Patriarcato latino di Gerusalemme:

R. – Noi viviamo un momento molto drammatico in Terra Santa. E’ vero che il ciclo di violenza non smette mai e ci sono momenti davvero drammatici. Siamo precipitati in una guerra nella quale Hamas risponde e Israele risponde e tutti si sentono vittime di queste situazioni. E’ un linguaggio violento, terribile, e noi nella Commissione di Giustizia e Pace abbiamo pensato insieme di dire “basta”. Il ricorso a questo linguaggio mostra una leadership molto irresponsabile, sono senza responsabilità per quanto riguarda il bene del popolo e il bene dei giovani. Qui sottolineiamo con convinzione il linguaggio del Santo Padre, quando è venuto e ha invitato i presidenti di Israele e Palestina qui in Vaticano, per formulare un altro tipo di linguaggio, perché tutto comincia con le parole. Dio ha creato il mondo con le parole e noi creiamo il nostro mondo con il nostro linguaggio violento. Quindi, è arrivato il tempo - come dice la dichiarazione - di trovare altri leader che possano avere una visione profetica di un mondo migliore di quello in cui viviamo adesso.

D. – Parla di un linguaggio in un certo senso politico però sono interpellati anche i leader religiosi in questo linguaggio…

R. – Assolutamente perché loro devono essere i modelli di un linguaggio che non conosce la parola “nemico”. I capi religiosi devono creare questo linguaggio che renda sempre più consapevoli, come ha detto alcune volte il Papa in Terra Santa e con molta forza qui in Vaticano, che siamo chiamati ad essere fratelli perché siamo tutti figli di Dio.








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