2014-07-02 08:02:00

Iraq: parlamento spaccato. Isil minaccia nuovo 11 settembre contro Usa


Sempre più caotica la situazione in Iraq, dove ieri la seduta inaugurale del parlamento si conclusa in bagarre tra i partiti sciiti, sunniti e curdi che devono trovare un accordo sulle più alte cariche dello Stato. Intanto sul terreno arranca la controffensiva nel nord contro i jihadisti dell’Isil che ieri hanno minacciato gli Usa di un nuovo 11 settembre; mentre il patriarca di Babilonia dei caldei mons. Sako ha lanciato un appello per le due suore e gli orfani rapiti sabato dai ribelli sunniti. Il servizio di Marco Guerra:

Le divisioni della nazione irachena ieri si sono riproposte nella prima seduta del parlamento dopo le elezioni del aprile scorso. I gruppi sciiti, che dominano l’aula, non sono riusciti a trovare un accordo sulla nomina del prossimo primo ministro, che per convenzione deve essere appunto sciita. Mentre il presidente del parlamento deve esser scelto tra i sunniti e il capo dello Stato tra i curdi. Ma anche su queste cariche manca un accordo sul nome. La seduta è stata sospesa con un nulla di fatto e rinviata di una settimana. In questo clima il presidente della regione autonoma Kurda Mustafa Barzani ha  annunciato un referendum per l’indipendenza. Intanto i miliziani dell’Isil mantengono le aree del nord conquistate e, dopo l’annuncio del califfato, minaccio un nuovo 11 settembre contro gli Usa tramite un messaggio audio del leader dello Stato islamico al Baghdadi. A Tikrit, una delle città in mano ai ribelli, si è registrata una timida avanzata delle truppe governative. E a Falluja, anch’essa controllata dagli insorti, i bombardamenti hanno provocato almeno 9 morti tra i civili. L'aviazione di Baghdad ha colpito per la seconda volta in pochi giorni anche Mosul, dove da miliziani dell’Isil trattengono due religiose e tre orfani cristiani. Ieri l’appello di mons. Sako per la loro liberazione.

E sulla situazione umanitaria nel nord dell'Iraq Cristiano Tinazzi ha sentito il vescovo di Erbil mons. Bashar  Warda:

R. – Well, what we are asking to the international community is …

Ciò che chiediamo alla comunità internazionale è di mettere pressione sui politici iracheni. Fondamentalmente, infatti, non esiste un governo al momento. Chiediamo di accelerare il processo di riunificazione della comunità, per formare un governo il prima possibile, perché come lei ha detto la situazione è caotica, davvero caotica, e questo sta causando molti problemi e depressione. Le persone non sono solo preoccupate e impaurite, ma sono davvero depresse per quello che sarà il futuro, se ci sarà un futuro per il Paese. E noi, in qualità di leader della Chiesa, abbiamo detto: “Per favore, se volete dividere il Paese, fatelo in pace, senza la violenza cui stiamo assistendo”.

D. – C’è la possibilità, come lei ha detto, che il Paese venga diviso?

R. – Hopefully not, because everyone...

Se tutto va bene no, perché anche le divisioni non sono il vero problema e certo non lo risolvono, anzi ne causano di più. Qualcuno, però, trova tutto questo l’unica soluzione. Non è l’unica, però. E’ dovuta ad alcune questioni complicate, storie non chiuse del passato, e per questo le persone pensano alla divisione. Ma nel profondo tutti vorrebbero vedere l’Iraq com’era: Iraq.

D. – Negli ultimi giorni molte persone, migliaia di persone, sono scappate da Qaraqosh ed altri paesi cristiani a causa della guerra. Com’è, dunque, la situazione al momento?

R. – It was very difficult…

E’ stato davvero difficile ricevere più di 20 mila persone in tre giorni. In Ankawa è stata davvero dura per noi. Siamo stati in grado, in un certo modo, di far fronte alla situazione, perché si sa che le risorse della Chiesa sono limitate, e l’esperienza che abbiamo non è l’esperienza con cui poter far fronte al grande numero di persone. Fortunatamente il 90 per cento delle famiglie in centro se ne sono andate, poche sono quelle rimaste in casa con i loro amici e parenti, e alcune persone di Ankawa le hanno accolte. La parte triste della storia è che le persone si stanno preparando a lasciare il Paese – da Qaraqosh, da Ankawa … molte delle nostre comunità cristiane stanno pensando seriamente di lasciare il Paese. Sono stufi, esattamente stufi, impauriti, terrorizzati.

D. – Vogliono semplicemente andarsene e scegliere un altro Paese forse per cominciare una nuova vita...

R. – They know it would not be...

Sanno che potrebbe non essere una saggia decisione, una buona decisione; sanno che è una decisione dura, sanno che non è facile emigrare, sanno che i Paesi europei, l’America, il Canada e l’Australia forse non saranno disposti ad accettarli. Ma dicono che è comunque meglio che restare, aspettando invano, e forse aspettando un’umiliazione maggiore, in un certo modo. Non è certo una decisione facile, ma non ci sono alternative.

D. – E per quanto riguarda i cristiani di Mosul? Se ne sono andati? Sono scappati?

R. – Yes, a few families...

Sì, alcune famiglie. Si contano. Da quello che sentiamo, se ne stanno andando, perché l’Isis ha cominciato ad promulgare le sue leggi, la Costituzione, l’attuazione della sharia. Quindi, adesso è tutto sempre più chiaro ...

D. – Ma lei non ha sentito nessun tipo di attacco contro le persone, uccisioni...

R. – Two churches were looted...

Due chiese sono state razziate. Hanno anche stabilito che le donne non devono guidare la macchina. Hanno portato via tutte le statue e anche l’antica statua di Nostra Signora di Al Tahira … Almeno adesso sappiamo cosa ci aspetta ...

D. – La comunità cristiana è una delle minoranze qui in Iraq. Se tutte queste persone lasceranno il Paese, cosa succederà?

R. – We need the international community to interfere...

Bisogna che la comunità internazionale interferisca, perché le minoranze sono una risorsa per la ricchezza del Paese. Non si possono abbandonare al loro destino. Se i loro diritti saranno tutelati, per farli rimanere nel Paese, questo rappresenterà una vera ricchezza per il Paese. Quindi, non si tratta di essere “cristiano”, si tratta di essere un essere umano, di essere una minoranza. Noi abbiamo tante minoranze all’interno dell’Iraq, e per questa ragione noi diciamo: “Per favore, fate qualcosa! Fate qualcosa!”

D. – Se dovesse mandare un messaggio al resto del mondo, cosa direbbe?

R. – The first message...

Il primo messaggio è che abbiamo bisogno di formare un governo, che si prenda cura di tutti gli iracheni, dal Nord al Sud: sunniti, sciiti, curdi, cristiani, shabak ... Tutti sono iracheni ed hanno bisogno di un governo che si prenda cura di loro. Altrimenti, non ci sarà futuro per i cristiani e probabilmente neanche per il Paese. 








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