2014-06-27 14:11:00

In Vaticano il coro sinodale del Patriarcato di Mosca


La solennità dei Santi Pietro e Paolo rinnova anche quest’anno il suo tratto ecumenico, ospitando il Coro Sinodale del Patriarcato di Mosca che, insieme alla Cappella Musicale Pontificia, terrà stasera un concerto nella Sistina dal titolo “Ut unum sint” e domenica animerà la celebrazione liturgica in San Pietro. I due cori canteranno insieme, con l’alternanza di direzione dei due maestri, repertori emblematici delle due Chiese.

Ascolta l’audio integrale del concerto   

“Quanto separato dalla storia ritrova dunque la sua unità nell’arte”, spiega al microfono di Gabriella Ceraso il direttore della Cappella Sistina, don Massimo Palombella:

R. – Credo che fare esperienze da questo punto di vista prima di tutto sia rispondere ad un mandato ecclesiale profondo: cioè attraverso l’arte, lanciare ponti di dialogo e di incontro, usando le fonti comuni, usando quel linguaggio che va oltre la teologia e oltre la diplomazia. La seconda cosa è che non possiamo che guadagnare in professionalità, perché il servizio ecclesiale ci obbliga alla verità di noi stessi.

D. – “Ut unum sint” è il titolo di questo concerto. Le chiedo: voi avete anche suonato a Mosca e quindi questo coro lo conoscete. La risposta a un repertorio che è quello della musica della Chiesa latina, la risposta a fare musica insieme, qual è stata finora?

R. – Il Coro di Mosca è quello che io "temevo di più", proprio perché lavorare con Westminster Abbey o San Tommaso di Lipsia – quindi anglicani e luterani – bene o male, siamo in un contesto europeo, per cui è facile rintracciare fonti comuni. Qui ci trovavamo, invece, davanti ad una realtà più lontana, culturalmente. La risposta è stata eccellente, nel senso che abbiamo fatto un duplice movimento. Noi abbiamo cantato in russo, traslitterando tutto e loro hanno cantato in latino. Non abbiamo chiesto di adeguarci: abbiamo fatto entrambi un movimento verso punti comuni. La cosa interessante, poi, è che anche nel concerto ci alterneremo alla direzione con il Maestro del Coro sinodale, e nella Basilica di San Pietro il 29 giugno la celebrazione iniziierà con il “Tu es Petrus” di Palestrina – nella festa dei Santi Pietro e Paolo – e lo dirigerà il maestro del Coro ortodosso di Mosca. Questi sono segni grossi dal punto di vista ecumenico e culturale.

D – Una parola per dire cosa i due repertori esprimono di profondo nella tradizione ecclesiale …

R. – Esprimono la comprensione della fede in un preciso momento storico. La Chiesa latina ha avuto dei momenti storici in cui la fede ha dialogato profondamente con la cultura e si è resa plastica attraverso l’arte. La stessa cosa è avvenuta nella Chiesa ortodossa, con parametri culturali differenti, ma è lo stesso processo.

D. – Quindi, quanto separato dalla storia rivive invece la sua unità nell’arte …

R. – Necessariamente, perché l’arte è destinata alla liturgia è il frutto del tormentato dialogo che la fede deve avere con la cultura. Se questo non avviene, è una fede sterile. E la fede che dialoga con la cultura è un processo profondo che dobbiamo fare ed è attraverso questo processo che noi possiamo ricostruire unità.

D. – Dal Papa le è mai arrivato un commento, una sollecitazione?

R. – Noi abbiamo incominciato questo lavoro con Papa Benedetto, e abbiamo realizzato il dialogo con gli anglicani. Poi è cambiato Papa e c’era in cantiere il dialogo con i luterani, e quindi abbiamo scritto chiedendo se il progetto poteva continuare e la risposta è stata: “Assolutamente sì!”. E tutto il discorso del dialogo con la Chiesa ortodossa è stato portato avanti con forza, da lui; nel senso che è un progetto nel quale lui ha investito personalmente. Quindi, in questo senso troviamo una assoluta continuità operativa tra i due Papi.

D. – E quindi diciamo che le divergenze non devono mai spaventarci, messaggio anche della Chiesa, voi lo incarnate?

R. – Ovviamente. Ma perché poi, nel campo artistico, le divergenze davvero si superano, come è successo quando abbiamo fatto la preghiera per la pace nei Giardini Vaticani: anche lì è stato molto interessante vedere musicisti ebrei, musulmani e cristiani che suonavano insieme. Volendo suonare insieme, volendo dare dei segni che ci sono delle cose e delle realtà che superano le nostre comprensioni culturali, e alle quali dobbiamo guardare per essere più umani di quello che ci ritroviamo ad essere.








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