2014-06-24 11:33:00

Egitto: dure condanne contro tre giornalisti di Al Jazeera


Il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi ha annunciato che, vista la difficile situazione economica in cui versa l'Egitto, si dimezzera' lo stipendio e donerà metà dei suoi beni allo Stato. Così facendo, ha sottolineato l'ingente deficit del bilancio dello Stato. Ieri ha fatto scalpore la condanna a sette e a dieci anni di reclusione per i tre giornalisti di al Jazeera detenuti da dicembre. L’accusa è quella di sostenere i Fratelli Musulmani del deposto presidente Mohamed Morsi. Immediata la reazione di condanna alla sentenza da parte di Onu e Stati Uniti e la convocazione degli ambasciatori egiziani in Australia, Gran Bretagna e Olanda, Paesi da cui provengono i giornalisti stranieri del gruppo. Nei mesi scorsi sono state centinaia le dure condanne a persone implicate a diverso titolo in sommosse o presunti complotti. Per una riflessione su quanto sta accadendo nelle ultime settimane in Egitto, Fausta Speranza ha parlato con il prof. Luigi Serra, docente dell'Orientale di Napoli:

R. – Si sta configurando un quadro non solo allarmante ma sconcertante, di grande delusione, di grande apprensione, in ordine a un Paese che tradizionalmente, culturalmente, per numero di abitanti, caratteri fondamentalmente socio-culturali e religiosi moderati, attraversati da venature culturali di enorme interesse, è oggi allo sbando. L’Egitto, Paese capofila nell’ecumene arabo islamico dal punto di vista dei riferimenti culturali e socio-politici, oggi è su una slavina che preoccupa da ogni e qualsiasi punto di vista: dal punto di vista delle libertà individuali, dal punto di vista dei mancati, falliti, obiettivi di raggiungimento di una democrazia. E’ un fallimento disastroso, peraltro, da un punto di vista economico.

D. – Che cosa si profila all’orizzonte?

R. – Nel quadro di quanto sta accadendo in Iraq nello scontro fra sunniti e sciiti, tutto quanto si sta verificando con tutte le promesse di interromperlo nella sua cruenta progressione, disumana e antidemocratica, in Siria, tutto quello che si configura in altre parti del vicinato mediorientale afro-mediterraneo: cioè, la messa a punto della funzionalità dell’Egitto alle politiche dominanti occidentali, quelle degli Stati Uniti in cima.

D. - Cosa dire inoltre dello sblocco degli aiuti da parte degli aiuti degli Stati Uniti che tradizionalmente hanno sempre assicurato all’Egitto aiuti ma in questa fase e nella fase precedente avevano bloccati…

D. - Devo dire che è la conferma di quanto dicevo prima. L’Egitto è un Paese da sempre dichiaratosi e riconosciuto come custode delle libertà civili e democratiche... Gli Usa hanno aiutato a capovolgere Mubarak in nome di una democrazia che prima Bush voleva esportare dall’Occidente verso quei Paesi. Si torna ad esercitare quelle aspettative di controllo di quelle fasce militari che hanno avuto il contrasto di Piazza Tahrir, indubbiamente per gli stessi motivi: avere non solo un alleato, un consenso degli altri gradi militari, ma addirittura una loro strumentalizzazione per i propri fini.

D. – Se parliamo di piano geopolitico quali i rischi più grossi?

D. – Il piano geopolitico correrà il rischio che si accentuerà ancora di più la distanza di quei popoli sottomessi al travaglio delle guerre, al travaglio delle dominazioni dittatoriali, dall’Occidente. Un Occidente che fa i propri conti sul potenziale bellico indigeno o allogeno, intendo dire proprio di importazione da parte dell’Occidente fa il conto, la valutazione del potenziale bellico e non dei valori culturali, civili, morali, propri di quelle popolazioni. Ancora è in attesa di quella libertà di pensiero e di una libertà di comportamento magari attraverso il travaglio di guerre intestine ma in nome della propria identità.








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