2014-06-23 14:38:00

100 città italiane per riconoscere il diritto alla pace


100 delegazioni di amministratori locali italiani oggi all’Onu di Ginevra per chiedere il riconoscimento della pace quale diritto fondamentale della persona e dei popoli. Già inserito da anni negli statuti e nelle leggi di migliaia di comuni, province e regioni italiane, tale diritto, a cento anni dallo scoppio della Prima Guerra Mondiale, merita oggi l’attenzione internazionale secondo Flavo Lotti, coordinatore  del  Comitato promotore della Marcia Perugia-Assisi. Paolo Ondarza lo ha intervistato:

R. – Bisogna che le Nazioni Unite, gli Stati, riconoscano finalmente questo diritto: il diritto alla pace. E’ un diritto che ancora oggi è scritto su tanti documenti ma mai realmente riconosciuto e rispettato. E non è un caso, appunto, che viviamo in un mondo in cui le guerre, la conflittualità, la violenza, le armi continuano a circolare e a mietere vittime in maniera sempre più lacerante e devastante.

D. – Quindi, chiedere la tutela e il riconoscimento del diritto alla pace, che cosa va a significare, pensando agli scenari in cui la pace è un obiettivo ancora da raggiungere?

R. – Il riconoscimento di questo diritto impegnerebbe gli Stati ad attuare politiche coerenti. Ancora oggi non c’è un serio impegno per il disarmo, contro la proliferazione delle armi e ancora oggi troppo spesso si scinde il rifiuto della guerra dalla necessità di costruire la pace positivamente. Che cosa significa la pace? Significa riconoscere che le persone hanno diritto ad avere una vita dignitosa, a poter vivere in un ambiente sano, a potersi guadagnare la vita … significa sostanzialmente coniugare il ‘no’ alla guerra con il rispetto di tutti i diritti fondamentali della persona. Ecco: non è un caso che ancora oggi questo diritto alla pace non sia riconosciuto, perché ci sono degli Stati che si oppongono fortemente perché questo limiterebbe il loro potere di fare la guerra.

D. – Pace tra gli Stati: ma potremmo dire anche pace all’interno degli Stati se pensiamo anche ai tanti conflitti interetnici, ad esempio,  che scoppiano dentro il singolo Paese …

R. – Sì: la pace che noi vogliamo vedere riconosciuta è un diritto delle persone, innanzitutto, e dei popoli. Questa è la definizione che noi vogliamo sia iscritta nelle Carte delle Nazioni Unite. Quando si decide che la pace è un diritto, chi poi viola quel diritto deve incorrere in una sanzione, in una condanna. Se uno decide di fare la guerra, dev’essere condannato dall’intera comunità internazionale. Quando pensiamo alle guerre, non pensiamo soltanto ai conflitti armati, ma anche a quelle che Papa Francesco ha voluto ricordare il primo gennaio di quest’anno, cioè quelle guerre più invisibili, ma che vengono condotte nel campo dell’economia e della finanza e che spesso producono più vittime di persone, famiglie e imprese che non le guerre e i conflitti armati. La pace che noi vogliamo che venga riconosciuta ed attuata è una pace che c’è solo e quando vengono riconosciuti e rispettati i diritti fondamentali delle persone.

D. – E se l’Italia – parlando, ad esempio, di economia – non sempre è ai primi posti nelle classifiche internazionali, va però detto che in questo ambito ha molto da insegnare: se pensiamo che in questi ultimi 20 anni, migliaia di comuni ed enti locali hanno esplicitamente inserito nei loro statuti il riconoscimento della pace come diritto fondamentale …

R. – Esatto. L’Italia soprattutto sono gli italiani e le nostre città, le nostre comunità locali, dove spesso nel silenzio sono maturate delle convinzioni molto più avanzate di quelle che la diplomazia internazionale ha raggiunto. Ed oggi, le città sono venute qui, a Ginevra, e presto – mi auguro – verremo anche ad incontrare Papa Francesco affinché 100 anni dopo la Prima Guerra Mondiale si imbocchi davvero una strada nuova e si dica chiaramente: quello che vogliamo è costruire concretamente, non solo con le belle parole, un po’ più di pace per tutti.








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