2014-06-20 13:15:00

Yara. Direttore dell'Eco: famiglia ha dato esempio nel dolore


Il caso dell’omicidio di Yara Gambirasio. Nessun dubbio che Guerinoni fosse il padre dell’assassino: è quanto affermato questa mattina in conferenza stampa dal pm Letizia Ruggeri, titolare delle indagini. Tra rumore mediatico e il dovere di fare giustizia, l’inchiesta sta investendo tutto il territorio della provincia di Bergamo, coinvolgendo famiglie, legami e affetti. Come sta vivendo questo momento così difficile la popolazione della zona? Gianmichele Laino lo ha chiesto a Giorgio Gandòla, direttore dell’Eco di Bergamo:

R. – Certo, con una grande apprensione. Ho notato, però, anche un desiderio di capire, un desiderio di uscire dall’incubo durato tre anni e mezzo. Talvolta il silenzio è d’oro e qualche altra volta il silenzio fa parte stessa dell’incubo; il silenzio fa paura. Ecco, direi, che questo sia il caso. Il territorio aveva bisogno di chiarezza, dopo tanto mistero.

D. – Il rumore mediatico, in questi giorni, ha inciso su vicende molto personali, rendendole note al pubblico. Quali sono gli aspetti positivi e quelli negativi, in casi del genere?

R. – Quelli negativi sono facilmente spiegabili. Il rispetto della persona, in coloro che comunicano e in coloro che vivono in questo mondo dell’informazione, della comunicazione non deve mai mancare, non deve mai venire meno. E’ dovere, quindi, dei giornali, è dovere dei siti, di tutti coloro che stanno dentro questo mondo, di cogliere i lati più delicati di una vicenda. Il lato positivo è quello del diritto di cronaca. Nel momento in cui il diritto di cronaca non “confligge”, ed è molto difficile in una situazione del genere non farlo, con il rispetto della persona, è un viatico importante per far sì che un territorio capisca, per far sì che la luce in qualche modo si accenda su una vicenda davvero molto, molto oscura.

D. – Secondo lei, dunque, è il dovere di fare giustizia, che deve prevalere sul diritto alla privacy?

R. – Ma, poi bisogna vedere cosa s’intenda per privacy. E’ chiaro che c’è un limite sotto il quale non si può mai andare. Queste vicende sono vicende giudiziarie, che hanno portato alla più grande indagine del Dopoguerra: 18 mila persone sul territorio sono state chiamate e interrogate e in quel momento sono state sottratte alla loro serenità. Da quel momento queste 18 mila persone hanno cominciato a camminare col sospetto di fianco. Questa situazione fa sì che sia vero che ci siano alcune vittime, ma sia anche vero che 17999 persone possono tornare alla loro serenità.

D. – Come si fa a distinguere il silenzio a tutti i costi dal silenzio dovuto alla riservatezza delle persone?

R. – E’ molto difficile. Il silenzio a tutti i costi, in qualche modo, può anche essere scambiato per omertà. La riservatezza è una linea di demarcazione davvero sottile, ma davvero fondamentale, anche per coloro che comunicano. Io credo che sia, in una situazione di questo tipo, importante domandarsi se ciò che si sta per pubblicare, se ciò che si sta per scrivere possa essere utile alla verità o sia semplicemente un rumore di fondo, che crea problemi a persone innocenti.

D. – Colpisce molto il comportamento della famiglia della povera Yara e il suo continuo richiamo alla preghiera per tutte le persone coinvolte in questa vicenda. Come interpreta questo loro atteggiamento?

R. - Una grandissima dignità, una grandissima fede, un grandissimo senso della realtà e dell’eterno. Loro hanno avuto il dolore più grande: hanno visto scomparire una figlia nel fiore della vita, una ragazza piena di vita, che illuminava le loro giornate, e sono stati capaci di far sì che questo evento terribile venisse addirittura metabolizzato positivamente. Il loro richiamo è un richiamo di civiltà, dal punto di vista laico, ed è un potentissimo, un grandissimo richiamo di bontà, richiamo di serenità interiore, dal punto di vista religioso. 








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