2014-06-20 14:24:00

L'attesa di Cassano all'Jonio. Sibari, il ricordo di padre Lazzaro


A Cassano all’Jonio e nelle altre località che domani vedranno la presenza di Papa Francesco si lavora a ritmi serrati per dare gli ultimi ritocchi al percorso e ai luoghi dove il Papa sosterà per incontrare le varie realtà della zona. Una giornata densa di appuntamenti, che saranno conclusi con la Messa celebrata sulla Piana di Sibari, da dove la nostra inviata, Fausta Speranza, racconta le ore della vigilia:

Francesco viene a chiedere scusa alla comunità alla quale sottrae per diversi giorni a settimana il vescovo, mons. Galantino, da quando – a dicembre scorso – lo ha nominato segretario della Conferenza episcopale italiana (Cei). Viene in un territorio ricco dal punto di vista naturalistico, ma rallentato dal punto di vista dello sviluppo. Mons. Galantino ci parla di un territorio che sente forte il bisogno di essere confermato nella fede e – dice – recuperato a una vita degna di essere vissuta. Il Papa insegna a chiedere scusa, sottolinea mons. Galantino, dicendo che la Chiesa chiede scusa se non è credibile come il Vangelo vuole. Ma ognuno deve fare la sua parte.

La diocesi non ha chiesto, per la visita del Papa, soldi alla politica e – ci dice mons. Galantino – non promette prime file per i notabili. Privilegiati saranno carcerati, malati, anziani, ex tossicodipendenti che Papa Francesco incontrerà. E’ la prima visita di un Papa nella diocesi calabra di Cassano, difficile da raggiungere in ferrovia – quattro cambi da Roma – o in auto. Di un aeroporto si parla invano da 20 anni.

La visita del Papa si concluderà con la Messa nella spianata di Sibari dove il mare bene esprime bellezza e potenzialità di una terra da recuperare. Un territorio bello ma martoriato dal malaffare, ci dice mons. Galantino, sottolineando: “Nessuno si sente escluso da responsabilità o implicazioni perché – ricorda – alla globalizzazione dell’indifferenza può accompagnarsi la globalizzazione del malaffare”.

Prima di raggiungere la spianata di Sibari per la Messa, Papa Francesco si fermerà a pregare davanti alla parrocchia dove il 3 marzo scorso è stato ucciso padre Lazzaro Longobardi. Il suo successore, don Francesco Faillace, lo ricorda con affetto al microfono del nostro inviato Federico Piana:

R. – Padre Lazzaro come uomo è stato un uomo molto riservato, non era colui che si metteva a fare molte chiacchiere. Era una persona che ascoltava e dava risposte concrete, sempre in quel silenzio, però molto incisivo in quelle che erano poi situazioni anche particolari. Era molto attento anche a quelle che erano le esigenze di questo territorio e le conosceva bene. Lui conosceva bene la sua comunità, i suoi parrocchiani e conosceva le loro storie. Quindi, sapeva intervenire nei momenti opportuni. Non era una persona che si faceva spazio con i gomiti, ma sapeva bussare alle porte.

D. – Il Papa verrà qui e si soffermerà in preghiera per ricordare questo sacerdote. Ma come è nato, secondo lei, questo delitto?

R. – La nostra realtà è un incrocio di visite sia occasionali che fisse, di persone che sono comunitarie, extracomunitarie e non solo. Da parte loro, con le loro richieste vorrebbero che le risposte fossero immediate. Risposte che tante volte non si possono dare con immediatezza, perché ci sono bisogni che necessitano di più tempo. In questo caso, l’amore e l’attenzione che padre Lazzaro ha avuto verso questa persona è stata scambiata come “buonismo stupido” e così, al primo rifiuto di attenzione, ha avuto una reazione violenta. Reazione violenta che nessuno di noi ha mai pensato di subire.

D. – In questo territorio c’è stato anche un episodio triste, quello di Cocò, il piccolo bambino ucciso in un agguato. Com’è fare il parroco in un territorio che sicuramente ha problemi anche di criminalità?

R. – Fare il parroco in questo territorio è un orgoglio. Soprattutto, è un orgoglio pieno di gioia, perché è ricco di tante potenzialità, ricco di tante capacità. Una terra bella, fertile. Le singole violenze che sono successe in questi mesi non devono e non possono annullare quelle che sono le capacità, le espressioni più belle. Il Santo Padre nella visita che farà nel nostro territorio non viene a puntualizzare che questo territorio ha espressioni violente. Viene invece ad aprire una finestra per darci una nuova speranza, una gioia incoraggiate. Sì, siamo un territorio soggetto anche a criminalità, ma la paura più grande non è la criminalità. La paura più grande è girarsi dall’altra parte. Fare il sacerdote qui, se fosse stata una scelta di girarsi dall’altra parte, penso che avremmo dato soltanto voce ad una violenza inaudita. Non dobbiamo avere paura.

D. – Mons. Galantino ha detto: “Bisogna puntare sui giovani, bisogna dare ai giovani di questa terra la speranza ed anche un lavoro certo”…

R. – Sì, ma noi non dobbiamo dare una speranza soltanto a parole. Dobbiamo dare anche una concretezza. A noi il compito di educarli alle responsabilità, di educarli anche al rispetto della lealtà e dell’onestà. Agli organi competenti, quello di saper costruire qualcosa per loro, perché ne hanno bisogno, ne hanno volontà e ne hanno le capacità. Quale gioia più grande sapere che un territorio da risposte di lavoro e non fa scappare i suoi figli.








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