2014-06-16 12:20:00

A Betlemme "rinasce" la Basilica della Natività


Nel settembre dello scorso anno, sono iniziati i lavori per il restauro della Basilica della Natività a Betlemme, la più antica tra le chiese di Terra Santa, che conserva il luogo dove è nato Gesù. Le autorità palestinesi hanno affidato l’intervento, per la riparazione dell’antico tetto ligneo, ad una ditta italiana che stanno utilizzando le stesse tecniche degli ingegneri di Giustiniano che edificarono la basilica nel 531. Il presidente della società, Gianmarco Piacenti, spiega al microfono di Roberto Piermarini l’andamento dei lavori:

R. - Le condizioni del tetto erano terribili, però bisogna anche dire che il tetto è sempre stato sovradimensionato alle sue necessità di resistenza, per questo stava in piedi. Ma le condizioni erano veramente terribili, tutte le murature erano intrise di umidità che praticamente hanno distrutto le teste delle travi, delle capriate inserite all’interno delle murature. Con la grande umidità che rimaneva dentro le murature ed il grande calore esterno la carie del legno l’aveva completamente distrutto.

D. - Come avete operato?

R. - Analizzando ogni capriata, ogni parte in legno. È stato fatto soprattutto il rilievo del degrado, eseguito da operatori specializzati che hanno, per ogni trave, visto prima il degrado e quantificato; poi riprogettato la resistenza della trave inserendo protesi lignee che praticamente conservano tutta la parte buona del legno ed eliminano solo la parte non più buona. 

D. - Avete utilizzato anche cedro del Libano?

R. - Praticamente le parti di cedro rimanenti sono pochissime, tutto il resto è larice e quercia. Abbiamo riutilizzato tutto legno antico per la gran parte, circa il 99%, che è stato ricercato in quattro regioni italiane, selezionato, riclassificato e portato in Palestina. Tutto ciò non è così semplice. Infine, riutilizzato per queste protesi, perché il collante che le unisce garantisce una grande resistenza solamente con legni compatibili che non superano umidità di una certa misura.

D. - Cosa avete recuperato dal punto di vista delle strutture antiche?

R. - Noi abbiamo conservato il più possibile. Innanzitutto, abbiamo modificato le metodologie di lavoro: non abbiamo smontato tutte le parti che si appoggiamo sulle capriate, composte da travetti e tavole, perché smontandole sarebbe stato difficile rimontarle nella stessa posizione, con gli stessi chiodi, allo stesso modo. Abbiamo “inventato” un sistema per sostenere il tetto mentre si lavorava sulle capriate dove intervenivamo. Questo ci ha permesso di conservare il più possibile tutte le tracce e tutte le parti che lo costituiscono. Perciò, è un lavoro che quando sarà scoperto dovrà sembrare come se non avessimo fatto praticamente niente; non si vedono sostituzioni che sono molto vicine alle pareti e tutto il resto sta dentro le murature. Viene ritoccato anche cromaticamente, i legni sono pressoché identici, si vedono solo le linee di taglio così che l’aspetto non sarà cambiato dall’attuale.

D. - Quindi i visitatori cosa vedranno una volta terminato il tetto?

R. - Vedranno lo stesso tetto che però, per lo meno, non sarà così umido come quello attuale e dove pioveva dentro.

D. - Cosa dicono i padri di Terra Santa ed anche gli ortodossi di questo restauro?

R. - Ci stanno supportando tutti in maniera molto forte, non ce l’aspettavamo. Dobbiamo ringraziarli tutti perché ci hanno dato veramente un grandissimo sostegno. Ne avevamo bisogno perché lavorare fuori diventa difficile ed in queste zone ancora di più.

D. - Avete trovato anche manovalanza qui sul posto?

R. - Sì. Noi abbiamo un ‘local partner’ che ci serve per tutte le problematiche che si incontrano in un luogo diverso: innanzitutto, la lingua per reperire i materiali locali, quelli più normali; per la logistica; per gli spostamenti; per tutto. Il nostro, purtroppo, è un lavoro specializzato ed è difficile impiegarli in tutte le lavorazioni, possono fare solamente pochissime cose e questo è un po’ un peccato. 








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