2014-06-15 08:58:00

In Iraq l'esercito riguadagna località a sud di Tikrit


Le forze lealiste irachene cercano di riorganizzarsi dopo la rotta dei giorni scorsi per respingere l'avanzata dei jihadisti sunniti verso Baghdad. L'esercito, appoggiato da milizie tribali, ha riconquistato ieri alcune localita' a sud di Tikrit, mentre da Samarra, a ridosso della linea del fronte, il primo ministro Nuri al Maliki ha rivolto un appello televisivo a "tutti coloro in possesso di armi" perche' "combattano contro lo Stato islamico dell'Iraq e del Levante" (Isis). Intanto gli Usa hanno fatto entrare una portaerei nel Golfo ma si attende ancora di sapere quale sara' l'opzione scelta dal presidente americano Barack Obama e in particolare se decidera' di intervenire militarmente. L'Iran, da parte sua, sembra passare all'azione per aiutare Maliki, sciita e suo alleato. Il presidente Hassan Rohani ha affermato che non e' intenzione di Teheran intervenire militarmente, ma ha anche detto di non escludere la possibilita' di collaborare anche con gli Stati Uniti per fermare l'avanzata jihadista.  Per saperne di più della situazione della popolazione Antonella Palermo ha intervistato la presidente della Ong “Un ponte per”, Martina Pignatti Morano:

R. – Ci sono stati almeno 500 mila profughi interni e quindi famiglie che fuggono perché non sanno qual è l’entità del pericolo. C’è molto disorientamento, soprattutto dopo aver sentito quale fosse il livello delle violenze in Siria, delle località che erano state conquista dall’Isis. In realtà ora molti stanno ritornando, perché è da venerdì, quindi una settimana ormai, che si è aperta questa crisi. Quelli che non tornano sono le minoranze, perché ovviamente la paura di ritorsioni e scontri interconfessionali è molto forte! Quindi ci sono migliaia di famiglie di cristiani, yazidi e shabak, che in questo momento si stanno rifugiando nelle città periferiche della provincia di Mosul e che noi, in qualche modo, stiamo cercando di aiutare.

D. – Questo Isis che legame ha con la tradizionale al Qaeda, per come noi l’abbiamo finora conosciuta?

R. – Si tratta di combattenti che sono guidati da leader militari, in questo momento sia siriani che iracheni. Quello che è chiaro è che sono molto organizzati e che hanno una strategia politica chiarissima: l’obiettivo è raggiungere Baghdad e creare una sorta di califfato che unisca la Siria e l’Iraq. Quelli che sono scesi in Iraq sono probabilmente 5 mila: quindi si tratta di numeri relativamente piccoli, ma che sono riusciti a raggiungere questo risultato militare non solo perché strategicamente sono molto organizzati, ma anche perché hanno ricevuto l’appoggio di alcune fette dell’opposizione interna irachena. Quindi in realtà questo risultato di Isis in Iraq è il risultato proprio della repressione terribile di questo governo, che si sente rappresentante della componente settaria sciita in Iraq: repressione militare pesantissima che ha operato contro l’opposizione sunnita in passato. Per cui attorno ad Isis si sono coalizzati i gruppi di combattenti sunniti e grandi aggregazioni di forze politiche.

D. – Obama per il momento dichiara: “Non manderemo truppe in Iraq, ma offriremo ulteriore aiuto”…

R. – Dalle sue dichiarazioni traspare in modo molto chiaro che sembra principalmente preoccupato della possibilità che l’Isis possa prendere il controllo delle principali raffinerie del Paese. Però l’orientamento da parte degli Stati Uniti sembra essere quello eventualmente di aiutare il governo iracheno nei bombardamenti. Il problema è che i bombardamenti dall’alto sono già stati utilizzati in modo massiccio da al Maliki per cacciare l’opposizione sunnita interna nella provincia di al Anbar e hanno provocato una recrudescenza della lotta armata dell’opposizione e l’arrivo dei gruppi islamici. Quindi queste dinamiche che si stanno creando sono effettivamente spaventose e la maggior parte degli iracheni con cui parliamo dà per scontato che per i prossimi 10 anni non ci sarà pace in Iraq! Noi, in questo momento, dobbiamo dedicarci di più alla comprensione delle dinamiche della società civile irachena, perché ormai le associazioni e i sindacati iracheni di tutto il Paese lavorano insieme: quindi diciamo che le differenze settarie sono state superare fin dal 2007, dalle reti di società civile, e da settembre dell’anno scorso molti di questi si sono uniti in un forum sociale iracheno, che si richiama addirittura alla Carta dei principi del Forum sociale mondiale. Quindi c’è una volontà da parte di loro di immaginare e di costruire una visione alternativa per l’Iraq, basata sulla giustizia sociale. Queste forze ci sono e vanno sostenute!








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