2014-06-13 13:51:00

Iraq: Onu denuncia esecuzioni di civili. La Nunziatura: il Papa ci è vicino


Continuano gli scontri in Iraq fra esercito e i militanti jihadisti nei pressi della citta' di Baquba, mentre il governo mette a punto un piano per proteggere Baghdad dall’avanzata dei ribelli. Preoccupazione e vicinanza è stata espressa dal prefetto della Congregazione per le Chiese orientali, il cardinale Leonardo Sandri, mentre la Nunziatura apostolica in Iraq ha fatto sapere che Papa Francesco “segue costantemente gli sviluppi della situazione ed è vicino alla sofferenza delle popolazioni. Cecilia Seppia:

L’avanzata dei miliziani dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante continua a ritmi sostenuti, dopo Mosul nella notte hanno preso due città nella provincia di Diyala e ora muovono verso Kirkuk, presidiata dalle truppe della Regione autonoma del Kurdistan, ma l’obiettivo finale è ovviamente la capitale. Per questo il governo ha messo a punto un piano di sicurezza denominato la griglia protettiva di Baghdad. Migliaia in queste ore sono le persone che tentano di sfuggire alle bombe, mentre la Commissione Onu per i diritti umani ha confermato le esecuzioni sommarie di civili e soldati da parte dei jihadisti: 100 i morti in 48 ore di scontri, oltre mille i feriti, ma un bilancio esatto non esiste. Le diplomazie internazionali riflettono su come agire: la Casa Bianca per ora esclude l’invio di soldati sul campo, ma l’opzione militare è ormai al vaglio e intanto i droni di Obama sono già in azione per raccogliere informazioni di intelligence. Washington in via precauzionale ha evacuato centinaia di civili dalla base di Balad. Da Teheran, tuona il presidente Rohani che assicura: non permetteremo di esportare il terrore nei nostri confini. A lanciare un appello a combattere contro i jihadisti, anche la massima autorità sciita dell’Iraq Al-Sistani.

L’avanzata dei jiihadisti su Baghdad prosegue anche grazie ad appoggi interni e allo sfaldamento dell’esercito che non è in grado di rappresentare la comunità nazionale irachena. Lo conferma Alberto Negri, esperto dell’area del Sole 24 Ore, al microfono di Cecilia Seppia:

R. – C’è un’azione “a tenaglia”, di accerchiamento della zona di Baghdad e della capitale. Se il loro obiettivo è quello di prenderla, probabilmente avranno anche degli appoggi interni. Ricordiamo che la stessa Baghdad ha dei quartieri sunniti molto vasti. La quinta colonna è stata molto utile per l’avanzata dei jihadisti dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante soprattutto nel caso di Mosul. Qui c’è stato un appoggio interno: anche a Tikrtit, per esempio, c’è stato il sostegno degli ex basisti che hanno sfilato, portando i ritratti di Saddam Hussein e accogliendo, come sunniti, con favore l’avanzata dei jihadisti.

D. – Il governo ha messo a punto un piano proprio per difendere Baghdad: un piano denominato “La griglia protettiva di Baghdad”. Però, c’è una sproporzione di forza e comunque questi miliziani agiscono in modo decisamene incontrollato…

R. – Dunque, siamo di fronte a un doppio dramma in Iraq. Il primo è il fallimento militare – quello dell’esercito iracheno – che a Mosul, a Tikrit e in tutte le altre zone dell'offensiva jihadista si è sfaldato, liquefatto per un motivo purtroppo evidente: è un esercito che non è mai stato in grado di rappresentare la comunità nazionale irachena. C’è un errore di vecchia data: all’indomani del 2003, dell’occupazione americana, gli americani decisero di sciogliere l’esercito iracheno e da quel momento è andato perso uno dei simboli dell’unità nazionale. Il secondo è un fallimento di tipo politico, completamente in mano al primo ministro, a Nouri Al Maliki, che praticamente ha sbagliato tutta la politica nei confronti dei sunniti. Quando nel gennaio scorso è iniziata l’avanzata dei jihadisti nelle province sunnite di Falluja e di Ramadi, ha reagito con bombardamenti e con la violenza e questo gli ha negato il supporto della parte più moderata dei sunniti. Quindi, ha mancato di trovare una soluzione politica, un compromesso, che in qualche modo evitasse la soluzione militare.

D. – Ecco, a proposito di questo avanza l’ipotesi di un intervento militare degli Stati Uniti. Obama per il momento ha detto "no" all’invio di truppe. Però, ha anche detto che tutte le opzioni sono aperte. Si arriverà a questo?

R. – È mai possibile che gli Stati Uniti possano vedere sgretolarsi uno Stato di 35 milioni di abitanti, dove vengono prodotti oltre tre milioni di barili al giorno, con riserve stimate forse addirittura superiori a quelle dell’Arabia Saudita? Dopo aver occupato per nove anni questo Paese, perso migliaia di uomini e sperperato migliaia di dollari, se non intervenissero in qualche modo sarebbe davvero una perdita di credibilità eclatante!

D: – Da Teheran ha parlato anche il presidente iraniano, Rohani, che ha detto: “non permetteremo di esportare il terrore nei nostri confini”. Ovviamente, questa crisi irachena sta mettendo in subbuglio nuovamente tutta l’area…

R. – Certo, anche se ormai questo Iraq è stato diviso: a nord, il Kurdistan ormai se ne è andato per i fatti suoi, i sunniti stanno cercando di crearsi questa zona, questa sorta di califfato nella zona centrale dell’Iraq, gli sciiti a sud di Baghdad controllano la situazione e due terzi del petrolio. Gli iraniani sono certamente interessati a tenere delle posizioni per loro molto importanti: erano e sono alleati del governo di Al Maliki ma, allo stesso tempo sono impegnati sostenere Bashar Al Assad in Siria. Hanno quindi un doppio fronte a cui pensare.








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