2014-06-11 12:45:00

Iraq. Mons. Nona: cristiani e musulmani in fuga da Mosul


La situazione "è molto difficile", per prima cosa "è urgente aiutare questa gente che è fuggita" dalla città, perché "entro due o tre giorni" le scorte di cibo e acqua saranno finite e "generi alimentari e beni di prima necessità" risulteranno introvabili. È il drammatico appello, rilanciato attraverso l'agenzia AsiaNews, di mons. Emil Shimoun Nona, arcivescovo caldeo di Mosul, nel nord dell'Iraq.

Nelle ultime ore la città di quasi tre milioni di abitanti è piombata nel caos, in seguito all'irruzione di centinaia di guerriglieri islamici che hanno assunto il controllo di ampie porzioni di territorio. I miliziani non hanno incontrato resistenze lungo il percorso, perché esercito e forze di polizia - seppur presenti in massa - hanno abbandonato armi e postazioni, gettando le divise e mescolandosi alla folla. "Drammatica" la situazione della minoranza cristiana, in una diocesi che già in passato ha pianto la morte violenta di fedeli e pastori, fra cui il precedente vescovo mons. Faraj Rahho (nel contesto di un sequestro) e di padre Ragheed Ganni.

Secondo le ultime testimonianze, sarebbero almeno 500mila le persone che hanno abbandonato la città, situata circa 360 km a nord-ovest di Baghdad e secondo centro per importanza di tutto l'Iraq, in un'area strategica per l'estrazione di petrolio e gas naturale.  

Raggiunto da AsiaNews, mons. Nona parla di una realtà "molto difficile", acuita dal vero e proprio abbandono di massa "di esercito e polizia che hanno lasciato all'improvviso la città". Il prelato si trova in una cittadina distante tre chilometri da Mosul, "che è sempre parte della mia diocesi, che non intendo abbandonare" aggiunge. "La gente ha avuto molta paura - racconta - i cristiani sono quasi tutti scappati via, anche molti musulmani hanno lasciato le loro case. Una città di quasi tre milioni è ora quasi svuotata, tantissimi sono fuggiti". 

Il vescovo racconta che i miliziani "sono entrati in città senza nemmeno il bisogno di combattere", anche se esercito e polizia erano presenti in massa prima dell'invasione; egli descrive come "molto strano" l'atteggiamento dei militari, che "hanno lasciato tutto il campo libero senza nemmeno un timido tentativo di difesa". Per questo, aggiunge, "la gente ha avuto paura e ha iniziato a fuggire". 

La situazione è "particolarmente difficile" per i cristiani: le famiglie, i sacerdoti, le suore, sono andati via tutti e le chiese sono ormai chiuse. In molti hanno cercato rifugio nel Kurdistan, altri nella piana di Ninive e "questo è il risultato di una politica di progressivo abbandono". A differenza degli anni passati, del 2008, continua mons. Nona, oggi non ci sono ong ed enti umanitari pronti a soccorrere la popolazione, i profughi. Oggi "non c'è nessuno" e gli abitanti di questi paesi "sentono la fatica di dover accogliere altra gente, presto mancheranno cibo e acqua, non è possibile accogliere tutti...".

Il prelato caldeo auspica "una soluzione vera e duratura della crisi irakena", un progetto di lungo periodo "per una nazione divisa fra gruppi religiosi, politici, etnie"; serve uno "Stato forte", conclude, che "metta fine a uccisioni e violenze... Il popolo irakeno è buono, merita una visione comune e una soluzione che sia fonte di pace". (R.P.)








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