2014-06-08 09:25:00

Messaggio del Papa al Raduno motociclisti. Intervista a mons. Mencuccini


Ai motociclisti che oggi si radunano a Teramo, al santuario di San Gabriele è arrivato anche l’auspicio del Papa, perché l’esperienza della convivenza di diverse culture e “il comune impegno per la costruzione di un futuro di prosperità e di pace produca abbondanti frutti di crescita umana e cristiana”. Il messaggio a firma del cardinale segretario di Stato Pietro Parolin è pervenuto a mons. Giulio Mencuccini, vescovo di Sanggau, in Indonesia, appassionato delle due ruote e ideatore della Festa del motociclista. Il presule, 68 anni, organizza la giornata ogni due anni anche per raccogliere fondi per progetti solidali nella sua diocesi, per questo il Papa augura che l’iniziativa “contribuisca alla riconciliazione tra gli uomini e alla rinnovata concordia tra le nazioni”, esortando i motociclisti “che provano l’ebbrezza alla guida della loro moto, a sentirsi responsabili della vita propria e di quella altrui”. Mons. Mencuccini, originario di Fossacesia, partecipa con una Guzzi California 1.400 Custom. Tiziana Campisi gli ha chiesto come ha sviluppato l’idea del raduno a San Gabriele:

R. - Penso che questa missione di raccogliere e di stare in mezzo a questi motociclisti sia un apostolato nuovo, perché si inizia sempre con la parte umanitaria. Con questo incontro avviene qualcosa: preghiamo ma, prima di tutto, lodiamo Dio anche se con le moto. Lasciamo le moto ed andiamo in Chiesa.

D. - Qual è la missione che si propone andando in sella?

R.  Il giudizio verso i motociclisti, verso i bikers è negativo da parte del popolo. Al primo raduno che abbiamo fatto una signora, vedendo me sulla moto vestito da vescovo, ha esclamato: “E’ finita la religione!”. Io in Indonesia giro e faccio l’apostolato sempre in moto, per cui per me, in Indonesia è una cosa normale. Ogni anno aumentiamo di più e diamo l’occasione a questa gente di accostarsi ai sacramenti e ci divertiamo perché la gente - qui a Fossacesia - ci offre la colazione, ce la offrono i fedeli di qui, facciamo un giro con le moto e ci offrono un rinfresco. Viene, quindi, coinvolta tanta gente e questo solo perché c’è un progetto: costruire un asilo in una parrocchia della mia diocesi. L’anno scorso l’abbiamo fatto per Nanga Mahap, quest’anno lo faremo per Tayan. Questo apostolato serve quindi a questi bikers per avvicinarsi al Signore e a praticare, in un certo senso, il sentimento che hanno di umanità, di aiutare le persone meno fortunate di loro. Il raduno, come festa del motociclista, è alla seconda edizione, viene fatto ogni due anni ed abbiamo iniziato nel 1995, eravamo circa 25 moto.

D. - In media quante moto si radunano?

R. - Circa 700, quest’anno forse di più.

D. - Come la vedono gli altri centauri?

R. - Sono contenti, anzi! Quando fanno le loro riunioni mi invitano. Da bambino seguivo mio padre - erano più o meno gli anni 50 - io avevo cinque, sei anni e cercavo di andare sempre con la moto insieme a mio padre che aveva una Aermacchi. Mio fratello, invece, aveva una Cimatti.

D. - Come ha conciliato questa sua passione per le due ruote con la sua vocazione?

R. - Nel modo che sto facendo: in missione, per poter arrivare nei villaggi più celermente e non dopo cinque, sei ore a piedi già stanco; mentre, con la moto si arriva ancora freschi e si può fare la catechesi. Poi si può arrivare dappertutto.

D. - Quale messaggio vuole dare per questa giornata?

R. - Dio lo si può amare in qualsiasi forma, anche andando su di una moto. Sempre, però, rispettando l’amore per Dio e per gli altri; partecipando con una preghiera per Dio e per gli altri. Offrendo anche qualcosa di proprio per far sì che altre persone possano assaporare quell’amore che abbiamo tra di noi bikers e che riusciamo a manifestare a queste persone meno fortunate di noi e lontane da noi. 








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