2014-06-05 13:25:00

Plebiscito per Assad. Usa: voto senza senso, Mosca conferma sostegno


“Un voto illegittimo, i combattimenti continueranno”. Così la principale piattaforma delle opposizioni in esilio rispondono alla rielezione del presidente Bashar al Assad, dopo le consultazioni di martedì scorso. Le operazioni di voto si sono tenute nelle sole zone controllate dal regime, circa il 50% del territorio. Il 17 luglio prossimo comincerà il terzo mandato del Capo di Stato. Mosca appoggia l’esito delle consultazioni, scetticismo dai governi occidentali. Per un’analisi del voto Massimiliano Menichetti ha intervistato il prof. Alberto Tonini, direttore del Master in studi mediterranei, dell’Università di Firenze:

R. – Si tratta indubbiamente di un voto falsato dalla situazione interna al Paese che, come sappiamo, negli ultimi tre anni è scosso da una drammatica guerra civile. E quindi, le elezioni si sono potute svolgere soltanto in una metà del Paese; inoltre, buona parte della popolazione è stata costretta, negli anni della guerra civile, a lasciare le proprie case di residenza e si trova all’estero o in altre zone del Paese, o comunque nell’impossibilità di partecipare al voto, e quindi anche questo ha ridotto l’importanza e il significato di questa consultazione. Ciò non di meno, per il presidente Assad era un passaggio necessario per il semplice fatto che il suo secondo mandato era arrivato alla sua fine naturale. Tutto ciò detto, questo risultato però conferma anche un altro elemento importante della situazione siriana, ed è il fatto che Assad in realtà non è un presidente che ha contro di sé tutta la popolazione, ma al contrario è un presidente che ancora gode di un parziale consenso e che vi sono cittadini che ritengono che un cambiamento di governo, un cambiamento di regime, possa portare a condizioni peggiori delle attuali.

D. – Altri sette anni di mandato: secondo lei, cambierà qualcosa sul terreno?

R. – Questo dipende molto anche dalle capacità dell’opposizione che sono rese deboli dalle fratture interne, come sappiamo, perché l’opposizione si divide a sua volta fra posizione “laica”, per così dire, di ispirazione liberal-democratica, e una opposizione che invece ha il suo riferimento in valori e movimenti di carattere religioso-fondamentalista. E naturalmente, Assad sa di questa frattura, di questa debolezza dell’opposizione e su questo spera di poter recuperare terreno. Le ultime settimane hanno mostrato una certa capacità da parte delle forze militari lealiste, delle forze del regime di riconquistare alcune regioni che erano in mano ai ribelli; e quindi per Assad, le prospettive nell’immediato sono piuttosto incoraggianti perché sul piano militare le cose stanno andando meglio e sul piano politico, come abbiamo visto, ha ottenuto una conferma che gli permette di presentarsi di nuovo come legittimo presidente nel suo Paese.

D. – Dunque, si continuerà a combattere?

R. – Sì. Perché nessuna delle due parti è, per il momento, in grado di prevalere definitivamente sull’altra parte. Quindi questo rischia di prolungare di molto gli scontri.

D. – Il G7 di Bruxelles ha parlato di “capo di Stato senza futuro”, nonostante le percentuali abbiano indicato praticamente un plebiscito per Assad. E’ possibile pensare ad una strategia di uscita dalla Siria?

R. – Una exit strategy avrebbe potuto essere tentata un anno e mezzo fa, nel momento di maggiore intensità degli scontri, nel momento di maggior forza apparente delle forze di opposizione. Dal momento che, invece, gli ultimi mesi hanno visto una ripresa della capacità militare del regime, in questo momento Assad – secondo il mio modesto parere – sta pensando di riuscire gradualmente a riprendere il controllo della totalità del Paese.








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