2014-06-04 14:20:00

Sud Sudan. Lo stupro di guerra nelle parole di una missionaria


La violenza sessuale è una delle peggiori piaghe del conflitto in Sud Sudan, scoppiato alla fine del 2013. La denuncia, di pochi giorni fa, è di Amnesty International e nonostante lo scorso 9 maggio sia stato raggiunto un accordo tra il governo del presidente, Salva Kiir, e i ribelli, nulla garantisce che si concluderanno le atrocità contro donne e bambine perpetrate da ambo le parti. Suor Elena Balani, missionaria comboniana  a Makala, in Sud Sudan, ha preso parte alla tavola rotonda ospitata dalla nostra emittente e trasmessa ieri sul Canale You Tube Vaticano e dedicata alla grave piaga degli stupri come arma di guerra. Le parole della religiosa al microfono di Francesca Sabatinelli:

R. - In Sudan e Sud Sudan, l’abuso sulle donne, sui bambini in caso di guerra c’è stato. È un Paese che purtroppo ha conosciuto periodi lunghissimi di guerra. Però devo dire - anche sulla testimonianza di persone anziane che hanno vissuto i 50 anni di guerra che hanno portato all’indipendenza del Sud Sudan - che l’uso sistematico della violenza sessuale sulle donne non è mai stato praticato in maniera così eccessiva come invece è avvenuto in quest’ultimo conflitto. Non era un’arma da considerare, anche nella cultura sud sudanese, dove prevaleva il rispetto per le donne.

D. - Lei che è stata per molti anni missionaria prima in Sudan, poi in Sud Sudan, a cosa attribuisce questo drammatico e orrendo cambiamento?

R. - Credo che ci sarà bisogno di un’analisi, questo conflitto non è ancora chiuso. Un’analisi per capire che cosa mai sia successo per arrivare a questi eccessi. Penso che l’internazionalizzazione dei conflitti e delle guerre abbia portato a questo. La violenza sulle donne è stata molto usata anche in Paesi non lontani dal Sud Sudan negli anni precedenti e in questo conflitto partecipano soldati che vengono anche da altre zone, o che sono stati in altri Paesi. Penso che siamo di fronte a un “imparare” tecniche nuove e metterle in pratica. Il secondo elemento importantissimo, che ha scatenato questa ondata di odio, è l’elemento etnico: in Paesi come il Sud Sudan la diversificazione in tribù o gruppi etnici diversi - se ne contano 60 - è importantissima. Purtroppo, nel conflitto corrente, la diversa appartenenza etnica è stata utilizzata senza scrupoli - mi permetto di dire - da alcuni politici per i loro fini ed interessi. Quando in una guerra il tribalismo ha un peso, allora penso che la gente diventi cieca, i combattenti diventino ciechi. Chi non appartiene alla propria tribù, al proprio gruppo etnico, deve essere eliminato. Perciò, per quanto riguarda le donne si sono avuti esempi non solo di violenza sessuale ma anche di eliminazione dopo la violenza. Tante sono state uccise.

D. - Questo è un fenomeno che coinvolge molti Paesi, non solo del continente africano, l’abbiamo vissuto anche recentemente in terra europea. E’ chiaro che ci vuole un intervento, soprattutto coordinato, ma i piani di intervento sono diversi: l’educazione, il primo soccorso, l’intervento politico. Forse, finché non si riusciranno ad armonizzare tutti questi livelli, sarà difficile riuscire a combattere questa arma di guerra…

R. - Sono pienamente d’accordo. Apprezzo moltissimo l’iniziativa di questo summit a livello mondiale a Londra (10-13 giugno contro lo stupro di guerra - ndr), con rappresentanze sia politiche, sia delle Nazioni Unite. Assieme a loro, che lavorano a quel tipo di livello, quello globale, è senz’altro importantissimo che i gruppi religiosi, le Chiese e i rappresentanti o istituzioni di altre grandi religioni del mondo comprendano l’importanza di operare, lavorare, agire, parlare, così che questo orribile tipo di violenza possa terminare.

D. - Le vittime sono donne, sono bambine, che un domani saranno donne. Si recuperano queste persone?

R. - Recuperare le persone è complesso. Questo tipo di danno, di violenza, può avvenire in pochi minuti, in un brevissimo tempo, però poi la distruzione a vari livelli sulla persona può durare una vita. In Sud Sudan, adesso quasi nessuno potrà dire che non sa cosa sia la violenza sessuale sulle donne, perché è stata praticata proprio in questo conflitto in tantissime città e villaggi. A questo punto anche la cultura, penso, sarà chiamata a cambiare: mentre prima non si parlava molto di questo, ora sarà così importante parlarne in modo da guarire le vittime e inoltre educare e prevenire. Oltre ad avere subito violenza, le vittime vengono ulteriormente “vittimizzate” dalla società, perché vengono isolate, viene loro preclusa la possibilità di formare una propria famiglia. Torno, quindi, al discorso della cultura: va fatta una campagna di informazione e formazione e le istituzioni religiose possono giocare un ruolo in questo senso. 








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