2014-06-03 12:03:00

Al via le presidenziali in Siria. Oppositori: una farsa


Urne aperte in Siria per presidenziali indette dal regime e bollate da gran parte dell’opposizione come una “farsa”. Scontata la conferma di Assad. Le consultazioni si tengono nelle sole aree sotto il controllo dei militari. Intanto, la Croce Rossa lancia un nuovo allarme. Il servizio di Massimiliano Menichetti:

La Siria è al voto per scegliere il nuovo presidente. Il dimissionario e favorito Bashar al-Assad ha già espresso la sua preferenza nel seggio del quartiere “Malki” nel centro della capitale Damasco. Due gli sfidanti, di secondo piano politico legati all’opposizione: Hassan al-Nouri e Maher Hajjar. L’affluenza alle urne è iniziata dalle sette di questa mattina, i seggi chiuderanno dopo dodici ore. Secondo i dati ufficiali, gli elettori sono 15,8 milioni, ma in base ai numeri delle Nazioni Unite, circa il 40% della popolazione, che prima della guerra era pari a 22,4 milioni, è fuggita. Elezioni definite una “farsa” da gran parte dell’opposizione. Sul terren, intanto, non si fermano gli scontri che in tre anni di conflitto hanno mietuto oltre 160 mila morti. Per le presidenziali, si voterà nelle sole aree sotto il controllo del regime. Intanto, la Croce Rossa internazionale lancia un nuovo allarme ribadendo che i combattimenti tra esercito e oppositori continuano a impedire agli operatori umanitari di raggiungere decine di migliaia di persone che non hanno acqua o cibo. Il Paese rimane spaccato: Le forze di Assad, sostenute dagli alleati, tra cui l'Iran ed Hezbollah, controllano la parte centrale, mentre i ribelli e i jihadisti arrivati anche dall'estero hanno preso il dominio di vaste aree nel nord e nel settore orientale.

Per un'analisi sulle consultazioni in Siria abbiamo raccolto il commento di Pietro Batacchi, direttore di Rivista italiana Difesa:

 

R. – Il regime nell’ultimo anno-anno e mezzo ha ripreso il controllo di gran parte del Paese, soprattutto della parte centromeridionale del Paese, che è quella più importante da un punto di vista strategico: il regime oggi controlla saldamente Damasco, controlla Homs, un’altra grande città siriana, controlla la fascia costiera, che è la roccaforte alawita, e in generale sta riguadagnando molto terreno anche nell’altra grande città siriana, ovvero Aleppo. Per cui, se guardiamo a queste elezioni secondo la cultura delle nostre liberaldemocrazie di massa, ovvero un esercizio del voto democratico, chiaramente ho un giudizio negativo su queste elezioni, che di fatto sono un plebiscito per il presidente in carica. Però, a queste elezioni bisogna guardare in una luce diversa: quella di un Paese che, nonostante tre anni di una guerra civile di una ferocia inaudita, nonostante questo, in alcune parti può condurre le elezioni: c’è una macchina amministrativa che in alcune parti del Paese funziona ancora, c’è una struttura istituzionale che, nonostante questi tre anni di guerra civile, non è assolutamente collassata, come è accaduto invece ad altri Paesi interessati dal fenomeno della cosiddetta "primavera araba", uno per tutti la Libia.

D. – Uno dei dati è quello che si è potuto esprimere il voto soltanto nelle aree controllate dal regime…

R. – Sì. La Siria non è un Paese in pace, non è un Paese che deve affrontare una situazione di instabilità, di insicurezza, è un Paese in guerra. Nonostante ciò, in alcune parti del Paese, la macchina amministrativa del regime riesce a mettere insieme quella che certamente è una farsa, una parodia, però dà l’idea di uno Stato che comunque c’è e che comunque funziona da un punto di vista amministrativo. E questo è un fattore molto importante, che anche gli osservatori delle esigenti democrazie occidentali dovrebbero vedere.

D. – Il conflitto, comunque, continua…

R. – Io ho la sensazione che questo sia un conflitto destinato a durare per la sua portata, per le implicazioni, per il numero di attori anche esterni coinvolti. Abbiamo sotto gli occhi di tutto il ruolo che stanno giocando gli hezbollah, che sta giocando l’Iran, che stanno giocando nella parte avversa le monarchie del Golfo, a cominciare dall’Arabia Saudita, il ruolo giocato dal Qatar, che in qualche misura è antitetico a quello dell’Arabia Saudita… Per cui, ho la sensazione che si continui, purtroppo,  ancora per molto tempo.








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