2014-06-02 13:40:00

Siria: domani le presidenziali, scontata la vittoria di Assad


Ancora sangue in Siria alla vigilia delle elezioni presidenziali: bombardamenti delle forze ribelli su Aleppo hanno provocato 50 morti tra sabato e domenica. Lo riferisce l’Osservatorio siriano per i diritti umani, vicino all’opposizione. Nelle aree controllate dal governo, intanto, si prepara il voto di domani: scontata la vittoria dell’attuale capo di Stato, Bashar al-Assad. Tra i candidati non figura nessuno dei leader antigovernativi, che hanno definito le consultazioni “una farsa”. Ma quali sono gli scopi che il presidente in carica vuole raggiungere con il voto? Davide Maggiore lo ha chiesto all’analista politico e strategico Alessandro Politi:

R. - Ha due obiettivi fondamentali. Il primo, è compattare il suo campo, che comunque dal punto di vista militare sta vincendo la guerra di attrito contro l’opposizione armata. Il secondo è dimostrare, attraverso la tenuta di elezioni, che la fase di stallo militare è stata superata e che quindi il governo sta vincendo e che è anche capace di raccogliere consensi. Tanto più se i consensi vengono dalla diaspora dei rifugiati nei Paesi intorno.

D. - Questo è un voto che in ogni caso si terrà solo nelle aree controllate dal governo e anche gli altri due candidati alla presidenza sono considerati uomini vicini a Bashar al-Assad. Ci sarà un modo per capire se il candidato del partito Baath avrà vinto o perso, di fatto, la sua scommessa?

R. - E’ ovvio che al governo siriano non interessa avere elezioni free and fair. Questo esercizio serve semplicemente a galvanizzare le proprie truppe, la propria popolazione. I due candidati sono candidati di figura e il governo sa che vince, come il banco, sempre. Non gli interessa di avere una legittimazione democratica: gli interessa dimostrare che ci sono cifre consistenti di persone che non solo non lo hanno abbandonato ma hanno riconfermato la lealtà al governo. Quindi, non può perdere perché tutto è congegnato in modo che vinca.

D. - L’opposizione che, come abbiamo detto, è di fatto esclusa dal voto resta frammentata e incapace di esprimere una linea comune…

R. - Le opposizioni partigiane sono sempre frammentate, è rarissimo che ci siano fronti compatti. In questo caso, poi, gli scioperi sono esclusi, ma così com’è questa lotta verrà persa nel disinteresse apparente della comunità internazionale.

D. - C’è poi la presenza tra i combattenti di gruppi jihadisti. È qualcosa che potrebbe far aumentare i consensi effettivi per Bashar al-Assad?

R. - I jihadisti hanno reso come al solito molto chiaro il loro criterio esclusivo di far politica, quindi tutte le minoranze, volenti o nolenti, sanno che sono protette solo dalla cooptazione con il governo attuale. Questa è la triste realtà sul terreno. Il guaio è che i jihadisti spesso sono i combattenti più esperti, ma portano una visione del mondo che non unisce l’opposizione siriana ma la divide.

D. - Abbiamo accennato al ruolo della diaspora: c’è il nodo dei siriani all’estero che hanno già votato ma, anche secondo le cifre ufficiali, il governo è riuscito a mobilitare solo 200 mila persone, mentre ci sono tre milioni di rifugiati. Da chi sono rappresentate queste persone che si trovano nei campi profughi?

R. - Molto spesso le persone che sono nei campi profughi, molto umanamente, aspettano che la guerra finisca per tornare a ricostruire i cocci di una vita. La rappresentanza politica di queste persone è estremamente incerta, spesso non è organizzata e a volte non può essere organizzata. 








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