2014-05-31 14:48:00

Myanmar: Aung San Suu Kyi lotta per la riforma costituzionale


In Myanmar continua la coraggiosa campagna della leader della opposizione birmana, Aung San Suu Kyi, che potrebbe avvicinare realmente il Paese alla nascita della democrazia. La Nobel per la pace, sta sfidando il governo militare con una raccolta di firme e manifestazioni in diverse città perché la Costituzione, approvata dal regime nel 2008, possa essere modificata prima delle parlamentari del 2015 perché le elezioni siano regolari e giuste. Delle speranze e delle prospettive del Paese Gabriella Ceraso ha parlato con Cecilia Brighi, segretario dell'Associazione Birmania Italia:

R. – La prima cosa che dovrebbe essere cambiata è l’introduzione di una riduzione profonda del ruolo dei militari nel sistema istituzionale. Oggi i militari hanno il potere di veto sulle riforme e sulle leggi fondamentali; hanno un Consiglio che può sospendere il funzionamento delle istituzioni; e non possono essere condannati per i crimini commessi durante la dittatura. Ci sono quindi degli elementi fondamentali. Un altro elemento importante è che bisogna far sì che la nuova Costituzione permetta ad Aung San Suu Kyi di candidarsi alla presidenza.

D. – Quanto conta la pressione internazionale per cambiare le cose?

R. – Conta moltissimo. Intanto, i grandi investitori, in questa situazione ancora così fragile, dal punto di vista della trasparenza, della democrazia, della lotta alla corruzione, fanno fatica ad investire. Conta perché i vari governi - dell’Unione Europea, degli Stati Uniti, delle istituzioni che contano - hanno scommesso sul passaggio democratico. C’è quindi la necessità che anche loro si mobilitino per aiutare il Paese ad andare avanti in questo cambiamento ed anche per sostenere la volontà del presidente della Repubblica, Thein Sein, che ha dichiarato di essere a favore delle riforme.

D. – Eppure, comunque, dopo decenni di dittatura, ci sono stati timidi passi in avanti, anche nel settore economico. Restano, dunque, le contraddizioni su questi due fronti...

R. – Assolutamente sì. Ci sono dei passi avanti: è stata approvata la legge sulle organizzazioni sindacali, anche se è molto farraginosa; c’è la legge sulla libertà di stampa, anche se, contemporaneamente, i giornalisti vengono arrestati. Si fa un passo avanti e contemporaneamente se ne fa mezzo indietro. Questo processo di trasformazione, quindi, va consolidato e va sicuramente rafforzato rapidamente. Trovo che l’Unione Europea dovrebbe essere molto più presente dal punto di vista dell’iniziativa politica, per contribuire veramente ad un cambiamento stabile, che è fondamentale, perché un rafforzamento della democrazia in Birmania fa bene ai Paesi limitrofi, come la Thailandia, e farebbe bene anche alla Cina.

 

 








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