2014-05-30 12:28:00

Bollino verde? Il Centro oncologico è affidabile


Sono pochi in Italia i Centri oncologici con il “bollino verde”, che trattano cioè un numero di casi sufficiente a garantire una minima affidabilità e hanno tutto il necessario per garantire al paziente un percorso di cura. Si tratta di 1787 su oltre 10 mila strutture. Il dato emerge dall’Oncoguida (on line sul sito "oncoguida.it"), presentata dall’Aimac (Associazione italiana malati di cancro). Al microfono di Elisa Sartarelli, il presidente dell'Associazione, Francesco De Lorenzo:
 

R. – Ci siamo limitati soltanto a valutare la parte chirurgica, non il resto delle attività diagnostiche e terapeutiche, e abbiamo messo soltanto dei punti verdi che servono a individuare quei Centri che hanno, per volumi di casi trattati, una maggiore esperienza. Abbiamo collaborato con il Ministero della salute e ci siamo limitati a fare una graduatoria dei Centri, segnando a fianco a ogni Centro il numero dei casi trattati. E abbiamo spiegato anche, nell’Oncoguida, che più è elevato il numero dei casi trattati, più è garanzia di risultato positivo. Se il malato si rende conto che ci sono strutture in cui operano solo due, tre, dieci casi rispetto ai 76 previsti, è chiaro che andare in quella struttura è a rischio.

D. – Ci sono differenze tra Regione e Regione?

R. – Ci sono certamente differenze. Ben 800 mila malati di cancro si muovono per andare da una parte all’altra, e Regioni che hanno una migrazione più elevata sono la Campania, la Calabria, la Sicilia e la Sardegna rispetto, per esempio, alla Lombardia, dove pochissime persone vanno a farsi curare fuori regione. Questo è spiegato anche dal fatto che in qualche modo i malati già sono orientati. Però, ovunque – anche in Regioni come l’Emilia Romagna, la Toscana, la Lombardia, il Veneto, dunque Regioni dove ci sono più elevati standard di migliore funzionamento – ci sono numerosi Centri che hanno fatto interventi operatori al di sotto del numero che dà la garanzia di risultato migliore al malato.

D. – Crede che i Centri più piccoli andrebbero razionalizzati?

R. – Andrebbero attuate le leggi già approvate. La spending review prevede, ancora una volta, di ridurre complessivamente il numero dei posti letto negli ospedali. Ovviamente, la logica sarebbe che, dovendo obbligatoriamente chiudere i posti letto, si vadano a chiudere quelle strutture che fanno un numero di interventi e che hanno comunque un numero di casi trattati tanto bassi da essere a rischio per il malato. Abbiamo fatto questo anche per sfidare le istituzioni e questo lo ha riconosciuto anche il ministro Lorenzin: abbiamo messo il malato in condizione di valutare autonomamente e direttamente quale centro garantisca la migliore riuscita. Non parlo di chiusura dei centri in senso assoluto. Gli interventi operatori devono essere fatti in centri che abbiano tutte le varie attività, che rendano l’intervento chirurgico facilitato. Ci dev’essere una diagnostica ben funzionante, una anestesia di qualità, macchine che consentano di fare dei controlli durante l’intervento operatorio, delle équipe di infermieri e di medici di qualità… Tutto questo si verifica negli ospedali che hanno un più elevato numero di pazienti afferenti. Lì dove si trattano da 2 a 10 a quindici casi non si deve nemmeno discutere: avrebbero dovuto essere chiusi questa notte, o ieri, per evitare il rischio che chi si rivolge là subisca dei danni piuttosto che curarsi e guarire. Nell’ospedale che sta sotto casa deve rimanere, per esempio, la chemioterapia: non parlo quindi di chiusura sic et simpliciter dei piccoli Centri ospedalieri, perché devono rimanere aperti per alcune cose. Cero, non possiamo obbligare un malato a fare 30 km per andare a fare una chemioterapia: devono rimanere delle strutture in grado di fare quello che è possibile affrontare, con un’elevata percentuale di casi positivi.








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