2014-05-29 14:45:00

Egitto: al-Sisi stravince le elezioni presidenziali


A spoglio quasi completato, il generale al-Sisi si avvia verso una schiacciante vittoria alle presidenziali egiziane con circa il 96% dei consensi. Il progressista Hamdeen Sabahi ha raccolto invece solo il 3% dei voti. Bassa l’affluenza alle urne che si è attestata al 47%. Gli osservatori internazionali hanno confermato che “si è trattato di un voto libero e regolare”. Appello a nuove manifestazioni dalla coalizione pro-Morsi, mentre il portavoce della Chiesa cattolica, padre Rafic Greiche, ha espresso soddisfazione per la vittoria di al-Sisi. Per un’analisi del risultato elettorale, Marco Guerra ha raggiunto telefonicamente al Cairo la giornalista ed esperta dell’area, Francesca Paci

R. – La vittoria era scontata, oltre il 96%, ed è una sorpresa casomai che abbia preso pochi voti il candidato dell’opposizione, Hamdine Sabahi, che nel 2012 arrivò terzo a sorpresa, ottenendo circa 5 milioni di voti, ne ha persi quindi parecchi. Questo è il primo dato. Altro dato importante è, per quanto Al-Sisi abbia vinto, l’astensione. Lui contava su 40 milioni di elettori e su 54 milioni di registrati al voto, ma in realtà la cifra è stata molto più bassa: si parla di 25-26 milioni. Il Paese non l’ha seguito come lui pensava. Non l’hanno seguito i giovani, che però non hanno seguito neanche Sabahi e molti altri.

D. – Questa bassa affluenza può minare la legittimità di Al-Sisi, la sua autorità?

R. – La legittimità, assolutamente no. Queste persone, che si tratti di un 40%, di un 35%, di un 30%, sono comunque andate a votare, da quello che si è visto in questi giorni, non mobilitate dalla vecchia macchina dei consensi, quelli che qua chiamano i supporter di Mubarak, che non hanno aiutato Morsi. Non c’è stata neanche una mobilitazione delle tradizionali famiglie tribali, quelle che di solito spostano parecchi consensi. Chi è andato a votare è andato a votare, perché si fida e si è fidato di questo candidato. Da questo punto di vista, è chiaramente un dato significativo che dà legittimità. Il problema è che Al-Sisi prende in mano un Paese che è molto malmesso da un punto di vista economico, ma anche da un punto di vista sociale, essendo estremamente diviso.

D. – A tal proposito, quali sono le sfide che attendono Al-Sisi? Si prospetta un periodo di stabilità, di possibilità di portare avanti queste riforme?

R. – L’Egitto dice in questi giorni che chiunque faccia previsioni sbaglia. L’Egitto ha votato sette volte in tre anni, ha cambiato quattro presidenti dal 2011 ad oggi. Lo stesso numero di presidenti che aveva cambiato tra il 1952 e il 2011. La maggioranza degli elettori, degli egiziani era assolutamente a proprio agio con Mubarak, nonostante lo contestasse, e l’ha tenuto per 30 anni. Ma la maggioranza degli egiziani è anche scesa in piazza a festeggiare quando è stato cacciato. La maggioranza degli egiziani ha votato per Al-Sisi e la maggioranza degli egiziani è scesa in piazza per cacciare al-Sisi. Mi sembra sia cominciata una fase in cui non siamo punto e a capo. Quello che sta succedendo non è un ritorno indietro all’era di Mubarak tout-court. Chiaramente, la sfida più importante è l’economia, ma non è l’unica, perché – come dicevo – la coesione sociale del Paese è una condizione sine qua non per avviare riforme. 








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