2014-05-23 14:56:00

Mons. Lahham: in Giordania cristiani e musulmani vivono bene insieme


Domattina alle 8 il volo papale decollerà dall’aeroporto di Fiumicino alla volta della Giordania, dove l’arrivo è previsto per le ore 13, ora locale. Cinquantamila sono i fedeli annunciati alla Santa Messa all’International stadium di Amman e più di mille i giornalisti accreditati, provenienti da tutto il mondo nella capitale giordana per seguire la prima giornata del secondo viaggio internazionale di Papa Francesco. Da Amman, il servizio del nostro inviato Fabio Colagrande:

Solo per poche ore domani la Giordania sarà il primo Paese al mondo a essere stato visitato, negli ultimi cinquant’anni, da quattro Papi diversi. In questa affermazione degli organizzatori c’è tutto l’orgoglio e l’emozione con cui il regno hashemita si prepara ad accogliere, nella capitale Amman, Papa Francesco che giunge qui all’inizio del suo pellegrinaggio in Terra Santa sulle orme di Paolo VI.

Per il Re Abdallah II è un’occasione per ribadire l’immagine di una Giordania terra di dialogo tra le fedi e interlocutore centrale per la pace nel cuore di un Medio Oriente insanguinato dal conflitto siriano e reso instabile dalle tensioni tra israeliani e palestinesi e da quelle in Egitto. Ma anche per enfatizzare lo sforzo umanitario compiuto dal Paese per ospitare e soccorrere circa tre milioni di rifugiati di varie nazionalità, di cui un milione e 300 mila provenienti dalla Siria. Sforzo che pesa sull’economia giordana e spiega l’attivismo del Re, recentemente negli Usa proprio per cercare sostegno e accelerare la soluzione politica della crisi siriana e l’intenzione degli organizzatori di sfruttare questo evento per promuovere il turismo In Giordania.

Ma per la piccola minoranza cristiana, circa il 3% della popolazione, l’arrivo di Francesco è un’occasione unica per incontrare il Papa dei “poveri”, degli “ultimi” e pregare con lui, specie per i tantissimi che non potrebbero affrontare economicamente una trasferta a Roma. E soprattutto un’opportunità per riaffermare la propria identità cristiana nel cuore di un Paese a maggioranza musulmana che però – come ricordava Giovanni Paolo II ad Amman nel marzo del 2000 – è allo stesso tempo “una terra santificata dalla presenza di Gesù stesso, dalla presenza di Mosè, Elia e Giovanni il Battista e dei santi e dei martiri della Chiesa primitiva”.

Sul significato della sosta in Giordania di Papa Francesco si sofferma mons. Maroun Lahham, vicario per la Giordania del Patriarca latino di Gerusalemme, al microfono del nostro inviato ad Amman, Fabio Colagrande:

R. – Per la Giordania, significa tanto. Significa un riconoscimento come parte integrante della Terra Santa. E’ già il quarto Papa che comincia in Giordania il viaggio in Terra Santa. Per il Paese, significa anche una conferma che il dialogo islamo-cristiano sta andando bene e una conferma della sicurezza e della pace che ci sono in Giordania nonostante tutti i problemi che ci sono qua e là. Per quanto riguarda noi e la piccola comunità arabo-cristiana, ci aspettiamo dal Papa parole di incoraggiamento, di conferma nella nostra fede e parole di misericordia di pace e di speranza per il futuro.

D. – Quanto è importante l’opera di dialogo tra  musulmani e cristiani in cui è impegnato il Re di Giordania?

R. – E’ importantissima, perché prima di tutto l’islam giordano è un islam moderato, perché il fanatismo religioso in Giordania non c’è. Il dialogo, infatti, si fa a vari livelli, c’è un dialogo di vita di tutti i giorni con i musulmani, di vicinanza, di scuola, di lavoro, di vita sociale. E poi c’è il dialogo fra gli intellettuali, ma questo si fa sempre a livelli alti. Ma la vita quotidiana in Giordania è diversa e diversificata. Cristiani e musulmani vivono bene insieme, anche se poi quando si arriva al matrimonio tutto si ferma, perché i matrimoni misti qui sono visti male.

D. – Pensa che questo dialogo potrà avere un’influenza anche su altri Paesi arabi?

R. – Ogni Paese arabo ha la sua specificità per il dialogo islamo-cristiano. L’Egitto non è la Giordania. La Siria era un Paese pacifico e i rapporti con i musulmani erano molto sereni, ma adesso la Siria sta vivendo, non so bene cosa, una sorta di rinascita a una nuova vita. L’Iraq non finisce mai di curarsi delle sue ferite, il Libano sta vivendo un problema costituzionale con il presidente che non viene mai eletto. Insomma, non penso che si possa generalizzare un tipo di rapporto tra musulmani e cristiani ed estenderlo a tutti i Paesi arabi. Ognuno ha il suo modo di vivere con i musulmani.

D. – Cosa significa per la Giordania la presenza sul suo territorio di centinaia di migliaia di profughi di altre nazionalità?

R. – Significa un peso materiale, un peso sociale, un peso economico e un peso morale. Noi non possiamo chiudere le nostre frontiere con la Siria, ma non possiamo ospitare altri profughi. Quelli siriani sono infatti già un milione e duecentomila, e noi siamo sei milioni. Immaginate cosa significherebbe per l’Italia l’arrivo di venti milioni di profughi.

D. – Come sarà accolto il Papa? Come si guarda dalla Terra Santa a questo Pontefice?

R. – E’ visto con tantissimo entusiasmo e atteso con molto calore. Abbiamo distribuito più di 50 mila biglietti per la Messa di sabato allo stadio di Amman. E per noi si tratta di una cifra altissima. Sia i musulmani che i cristiani sono in attesa di vedere e incontrare Papa Francesco.








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